Dal vertice di Bruxelles esce un’Europa senz’anima
Dopo una maratona negoziale di 40 ore, a Bruxelles il vertice dei Capi di Stato e di Governo si risolve in quella che la presidente lituana Dalia Grybauskaite definisce una sceneggiata. Un’Europa senz’anima, priva di un progetto comune condiviso, s’è mostrata per quella che è: un’accozzaglia di Paesi che nel più assoluto egoismo inseguono il proprio immediato tornaconto.
I dossier che scottavano sul tavolo erano tanti e tali da poter travolgere quello che resta dell’ipocrita finzione che è la Ue: migranti, il nodo delle banche e soprattutto le condizioni speciali che Londra pretendeva per rimanere nell’Unione.
Ognuno ha remato per conto proprio e con la solita ipocrisia il nodo (enorme) dei migranti è stato rinviato a un summit straordinario convocato per il 6 marzo, quando potrà essere presente Erdogan, il “sultano” che tiene sotto ricatto l’Europa con i profughi che lui stesso prima crea e poi le getta in grembo.
Il nodo delle banche è stato solo sfiorato fra mille polemiche, con una Germania che, come al solito, non vuole sentir parlare di garanzie condivise fra gli Stati (se non alle condizioni che le convengono) e chiede un meccanismo che distruggerebbe quelle italiane. Come sempre se ne riparlerà più avanti.
L’unico dossier che non poteva essere rinviato era il pacchetto che Cameron chiedeva per scongiurare l’uscita dell’Inghilterra dalla Ue, la Brexit. Per vincere le elezioni del maggio scorso, il leader britannico aveva promesso un referendum sulla permanenza di Londra nell’Unione, ed ora ha un disperato bisogno di un risultato da sbandierare come un successo dinanzi ad elettori sempre più euroscettici, per scongiurare una Brexit che sa una iattura per grandi aziende e finanza inglesi.
Al di là dei contorti tecnicismi, ciò che chiedeva era un trattamento di favore per la City, una marcata autonomia da Bruxelles (leggi: la possibilità di stare alla finestra accettando solo ciò che fa comodo) sia in campo politico che commerciale, una drastica limitazione dell’accesso al welfare inglese dei lavoratori europei che vi si recano (creando lavoratori di serie B, in pratica senza tutele).
Richieste che hanno sollevato le furiose opposizioni di chi si sentiva danneggiato: Francia e Italia per i privilegi pretesi dalle banche della City, Paesi dell’Est in difesa dei propri lavoratori e così via.
È finita come doveva finire, appunto con una grande sceneggiata con poca sostanza: a parte parole, su nessuna delle richieste Londra porta a casa quanto voluto, ma getta le basi di un infinito contenzioso per il futuro grazie alla voluta ambiguità di molti passaggi.
Sia come sia, adesso tutti gridano al successo: Cameron che sostiene dinanzi ai suoi elettori d’essersi battuto per l’Inghilterra, salvo essere già sbugiardato dai tanti euroscettici di casa sua; Merkel che tira un sospiro per aver tamponato il crollo del sistema che fa tanto comodo alla Germania; gli altri Paesi che hanno fatto la loro passerella. Resta il fatto che il problema (se tale è) è stato solo rinviato, e al referendum Cameron avrà armi spuntate contro i suoi avversari.
La verità è che una Ue, dilatatasi all’inverosimile senza alcun progetto politico, dinanzi alle crisi sempre più frequenti si mostra per quella che è: un ectoplasma paralizzato dai singoli egoismi e privo di qualsiasi coesione.
La verità è che un Continente intero, sempre più debole, litigioso ed autoreferenziale, non volendo scegliere alcuna politica propria, s’è condannato alla sudditanza di chi gliela impone dall’esterno (leggi Washington).
La verità è che l’intero sistema, esclusivamente ritagliato su misura sui miopi interessi economici del Paese egemone (la Germania), cade a pezzi, e presto verrà travolto dagli strumenti di chi lo vuole colonizzare (Ttip e così via).