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Coronavirus, Italia paga il prezzo dei tagli alla Sanità

Fare decadere le strutture pubbliche è un modo per lasciare alle perverse logiche del mercato il diritto alla salute. Oggi, di fronte all’emergenza coronavirus l’Italia paga il prezzo di venti anni di scellerata politica sanitaria.

Sono ormai decenni che in Italia lo stato sociale si muove sui binari della privatizzazione, raggiungendo l’apice con il welfare occupazionale. Quel welfare privato connesso con contratti aziendali e attività produttive, che sta sostituendo i servizi prima erogati dal comparto pubblico. Con l’ingresso nel settore sanitario di giganti che fatturano decine di milioni di euro l’anno e distribuiscono ricchi dividendi agli azionisti, gli interessi particolari si scontrano inevitabilmente con il diritto universale alla salute.

Rapporto stato sociale 2019

È interessante leggere, su questo tema, quanto sostenuto nel “Rapporto sullo stato sociale 2019, welfare pubblico e welfare occupazionale che fa notare come il welfare contrattualizzato accentua le disparità di accesso alle prestazioni sociali. E non finisce qui, perché a rimetterci non è solo l’equità già compromessa, ma anche l’efficienza delle prestazioni, sull’esaltazione della quale si regge invece la narrazione neoliberista che decanta le virtù del privato e l’inefficienza congenita del pubblico. È scritto a chiare lettere nel Rapporto appena citato: “I costi di gestione delle assicurazioni sanitarie e dei fondi pensionistici finanziati a capitalizzazione presenti nel mercato sono strutturalmente superiori a quelli delle corrispondenti prestazioni offerte dal welfare state”.

Se gli Stati Uniti sono un caso emblematico di welfare privatizzato, l’Italia è avviata sulla stessa strada con la stretta della spesa sanitaria legata in particolar modo alla riduzione della componente pubblica, scesa, in soli sette anni dal 2010, del 4,4% per attestarsi al 74%, ben al di sotto di quella di Francia, Germania e Paesi scandinavi dove la quota varia tra l’83 e l’85%. Intanto, già dal 1990 in Italia la spesa riconducibile agli schemi del welfare occupazionale continuava ad aumentare, crescendo dell’85% fino al 2015.

Usa chiama e Italia risponde con welfare occupazionale 

Non c’è bisogno di una riforma che americanizzi d’un colpo la sanità per fare in modo che questa diventi un business per privati. Basta fare in modo che gli ospedali decadano, chiudano, che non abbiano fondi sufficienti, che i tempi di attesa per una prestazione siano inconciliabili con i bisogni di tutela della salute e di cura. Apparirà, poi, giustificato drenare soldi pubblici ai privati, lasciare che questi allarghino i loro tentacoli su ogni tipo di prestazione, non ritenere necessario verificarne l’attività perché – si lascia intendere – come può l’inefficiente Stato controllare un più capace, produttivo, dinamico privato? 

Sempre più persone saranno, a quel punto, costrette a rivolgersi frequentemente ai privati. Nessun problema per chi potrà permetterselo. Ma chi non vive di profitti, chi è costretto a campare di salario o sussidi, vedrà, e già vede, il diritto alla salute compromesso, se non del tutto cancellato.

Chi ci rimette? Come al solito, le categorie di persone più vulnerabili: chi vive al Sud, troppo spesso costretto a viaggi della salute; chi campa di bassi salari o è sostenuto da redditi bassi che avrà maggiori difficoltà economiche a fare una visita specialistica. Le donne, che ancora si dedicano più degli uomini al lavoro di cura e sperimentano sulla propria pelle il medioevo in troppi consultori e reparti di ginecologia pieni di obiettori di coscienza. Tutti avvolti in una spirale di riduzione della capacità di rispondere ai bisogni sanitari e una spinta verso il basso della qualità delle prestazioni. Le disuguaglianze sociali, in questo modo, non possono che crescere ulteriormente. A tutto questo contribuisce il welfare aziendale anche nelle forme in voga in Italia. 

Privatizzazione ed emergenza Coronavirus   

Che prezzo paga l’Italia per la politica sanitaria degli ultimi vent’anni? Alto, molto alto. Non è questione di destra o sinistra, tutte le regioni ci hanno messo le zampe. Tutti sono colpevoli. Se non avessimo semi sfasciato la sanità pubblica, chiudendo una marea di ospedali e finanziandola sempre meno (37 miliardi di euro di minori stanziamenti in 10 anni), avremmo avuto meno perdite di vite umane. Oggi, il coronavirus ha evidenziato la mancanza di migliaia di medici e infermieri rispetto quanto sarebbe necessario, la mancanza di respiratori, ventilatori e mascherine necessarie, strutture ospedaliere.

Se avessimo speso le decine di miliardi impiegati per privatizzare (Sanità, Scuola) o per spese militari con l’intento di pensare alla sicurezza nazionale, rafforzando il sistema sanitario pubblico non avremmo perduto – nel modo peggiore – più di 12mila anziani, la nostra memoria storica, il sostegno dei figli e i compagni di gioco dei nipoti.

di Cristina Amoroso

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