Come si è arrivati all’elezione di Papa Francesco?
E’ passata già una settimana dall’Habemus Papam ed un primo bilancio sul pontificato di Jorge Mario Bergoglio è dunque possibile tracciarlo; l’impatto mediatico è stato più che positivo: il bacio alla Kirchner, l’abbraccio con tutti i fedeli domenica mattina dopo la messa, la Croce d’oro rifiutata, Papa Francesco ha compiuto primi e significativi passi importanti nel governo della Chiesa.
Adesso però per l’ex arcivescovo di Buenos Aires, arriva il difficile: alcuni hanno detto che questi primi sette giorni, siano stati per il nuovo Pontefice una sorta di vacanza romana, con il quale farsi conoscere al mondo sotto il profilo umano.
Per capire le prime mosse di Bergoglio sotto il profilo di governo però, è bene andare oltre i primi gesti simbolici ed importanti prodotti in queste prime giornate con la veste bianca; in primis, bisogna iniziare a capire come mai ed in che misura il Conclave abbia optato su di lui già alla quinta votazione, quando invece alla vigilia non era dato tra i favoriti e nemmeno tra gli outsider.
Una frase, detta dallo stesso Francesco I durante l’incontro di sabato con i giornalisti, può indicarci la quantità di voti ottenuta dall’argentino: “Quando ho raggiunto il quorum, c’è stato l’applauso, poi quando la votazione andava avanti ed il mio nome continuava ad uscire, ho pensato al nome da scegliere come nuovo vescovo di Roma”. Questa frase del Papa, fa comprendere implicitamente come i voti per lui siano stati ben oltre i 77 richiesti dal quorum e dà una prima forte conferma a quanti sostengono che i porporati a votare per il primo pontefice americano, siano stati addirittura 90.
Da questo voto plebiscitario però, emerge tutt’altro che una Chiesa unita e coesa: tra i 90 infatti, c’è chi ha puntato su Bergoglio per le sue qualità e perché si crede in una sua opera di risanamento morale della Santa Sede, ma c’è anche chi ha scritto il suo nome nella scheda del Conclave, per gli stessi e poco edificanti giochi di potere interni alla curia.
Da un lato, abbiamo i cardinali del terzo mondo e delle Americhe, più un terzo circa degli europei, convinti della bontà del gesuita argentino: tra questi, bisogna annoverare Timoty Dolan e Sean O’Malley, così come il filippino Tagle ed il brasiliano Braz de Aviz; dall’altro però, ci sono stati porporati curiali che, vedendo affossata sul nascere la candidatura del loro papabile principale, il cardinal Sherer, allora pur di andare contro Angelo Scola, hanno deciso di dare i voti al candidato schierato dagli anti–romani.
Tra questi, bisogna considerare il segretario di Stato uscente, Tarcisio Bertone, che in una squallida faida tutta interna alla sempre più logorata Chiesa italiana, ha dirottato molti voti verso il nuovo Papa; il gioco dei curiali “di ferro” è semplice: non far arrivare italiani di spicco al trono di Pietro, appoggiare un cardinale mediaticamente molto forte e tentare però di dietro, di continuare con il vecchio metodo di amministrazione della Santa Sede, facendo pesare a Bergoglio i propri voti dati in Conclave.
Sembra di rivedere la stessa scena del primo Conclave del 1978, quello che elesse Papa Luciani: il futuro Giovanni Paolo I infatti, era il candidato dei riformisti e del terzo mondo ed i curiali romani, pur di non far arrivare Siri o Benelli all’elezione, appoggiarono l’ex Patriarca di Venezia, al quale però, nel suo unico mese di Pontificato, poco importò dell’appoggio decisivo dei Cardinali di curia e, prima della sua misteriosa scomparsa, aveva intrapreso molte azioni di drastica riforma della Chiesa, ancora oggi rimaste nei cassetti dei palazzi Apostolici.
Anche in questo caso dunque, si pretenderà, da parte di un Papa lontano dalla Curia, un pontificato di continuità e non di riforme in seno alla Santa Sede; però, a differenza della situazione in cui si era venuto a trovare Papa Luciani, rimasto letteralmente solo, come detto prima c’è una fetta molto importante della Chiesa che non tollera più determinati comportamenti e vuole fare piazza pulita e non farà mancare il proprio supporto ad eventuali azioni di discontinuità.
Papa Francesco quindi, potrà contare su Cardinali extra–europei sempre più decisivi e sempre più orientati a favorire una concezione del papato dedita all’esclusiva divulgazione del Vangelo e sempre meno propensa ai giochi politici e di potere che rischiano di far affondare la Barca di San Pietro, come ha detto in una delle sue ultime uscite Benedetto XVI. Del resto, la scelta di un gesuita non è casuale: chi meglio di un seguace della Compagnia di Gesù infatti, può rappresentare una svolta verso una Chiesa che torni a parlare più di Vangelo che di finanza?
E allora, bisogna chiedersi a quale delle due voci Papa Bergoglio saprà dare rappresentanza: i primi giorni, al di là dei gesti simbolici comunque molto importanti, sembrano promettere bene da questo punto di vista. Un gesto, più di ogni altra cosa, orienta l’ago della bilancia verso l’ottimismo, ossia l’incontro con il fratello di Emanuela Orlandi, la ragazza, figlia di un dipendente vaticano, scomparsa nel 1982 e mai più ritrovata, al centro di un mistero in cui in mezzo ci sono aziende e banche riconducibili al piccolo Stato oltre Tevere: in questi trent’anni, il fratello della giovane ha tentato invano di parlare con Wojtyla prima e con Ratzinger poi; dopo appena quattro giorni di pontificato invece, c’è riuscito con Papa Francesco dopo la messa di domenica.
“Dalla sue elezione – ha affermato il ragazzo – si respira un’aria più libera in Vaticano, in cui molti aloni di mistero sembrano diradarsi. Mi ha fatto una bella impressione, a giorni gli chiederò un’udienza privata, credo che ci aiuterà a scoprire la verità su mia sorella”.
Non resta che aspettare quindi, le prossime mosse di Papa Francesco; secondo molti ben informati, le prime importanti decisioni, potrebbero essere prese dopo l’incontro con il suo predecessore, che avverrà a Castel Gandolfo il prossimo sabato.