Un colpo di Stato utile a scatenare le follie di Erdogan
di Salvo Ardizzone
Il colpo di Stato ha scatenato la furia di Erdogan, dall’indomani del suo fallimento sono in corso arresti, epurazioni e licenziamenti di massa che stanno sconvolgendo la Turchia.
Il colpo di Stato raffazzonato, messo in atto nel più inetto dei modi da una frangia di militari, ha fornito al Presidente turco l’occasione perfetta per sbarazzarsi d’ogni opposizione o semplice dissenso; l’ampiezza e la rapidità della “purga” messa in atto, dimostra chiaramente una pianificazione precedente ai sanguinosi fatti di venerdì notte; una preparazione che attendeva solo il momento giusto per scattare.
Le misure repressive, di dimensioni senza precedenti, sono state adottate nella cornice dello “Stato di emergenza” per avere la massima discrezionalità nel colpire decine di migliaia di persone, disarticolando Esercito, Magistratura, Polizia, Pubblica Istruzione, Università, Ministeri, giornali e giungendo a rimuovere anche 500 religiosi.
Al momento, ma i numeri crescono vorticosamente di giorno in giorno, sono circa 16mila gli appartenenti alle Forze Armate ed alla Polizia fra arrestati e rimossi, con un terzo dell’Alto Comando finito in manette; 3mila fanno parte della Magistratura, e fra gli arrestati figurano due giudici della Corte Costituzionale; oltre 44mila appartengono al comparto Educazione, con quasi 22mila fra professori e docenti licenziati, 1500 presidi e rettori costretti a dimettersi, 21mila insegnanti delle odiate scuole private che si sono visti revocare la licenza d’insegnamento.
Ma anche i Ministeri sono stati travolti dalle conseguenze del colpo di Stato, con oltre 13mila fra impiegati, funzionari e dirigenti rimossi; quello degli Interni è stato il più falcidiato, ma lo stesso staff del Primo Ministro ha visto centinaia di epurati e con loro decine di prefetti.
Quello scatenato dalla furia incontenibile di Erdogan è un contro-golpe, con il quale sta sconvolgendo l’Amministrazione dello Stato sbarazzandosi di chiunque non gli appaia assolutamente allineato, e sostituendolo sulla base della pura e semplice fedeltà incondizionata. Quanto questo repulisti di immani proporzioni stia minando l’efficienza della macchina statale è evidente a tutti, ma indifferente a un “sultano” ossessionato dal potere, a cui il colpo di Stato ha permesso di mettere da parte, una volta per tutte, parole come Stato di Diritto, libertà democratiche, diritti civili o opposizione.
È tuttavia chiaro che, malgrado le continue manifestazioni dei fedelissimi che, incitati da Erdogan, celebrano superando il grottesco il culto della sua personalità, la Turchia è più debole. E lo è sia perché si sta sbarazzando della sua intellighenzia, sostituendola con fantocci; sia perché la sua già traballante economia riceverà un duro colpo dall’accelerata fuga di capitali verso mercati più tranquilli; sia perché le sue reazioni al colpo di Stato stanno accentuando il suo già completo isolamento.
Le parole grosse volate a caldo con gli Usa, accusati d’essere dietro il golpe e di proteggere Gulem, sono state solo in parte moderate da interviste successive, la prima delle quali, vedi caso, rilasciata alla Cnn. Ma l’asprezza delle risposte alle critiche sollevate dai leader europei per la deriva autocratica impressa alla Turchia, lascia presagire una forzata crisi nei rapporti.
La Turchia è una pedina essenziale per la Nato e un interlocutore indispensabile per una Ue atterrita dai migranti, ma l’inasprirsi della situazione e l’imprevedibile inaffidabilità del “sultano”, più che mai esasperata dopo il colpo di Stato, può costringere ad un gelo nelle relazioni. E d’altronde, il progetto di sostegno ai curdi in Siria, con cui gli Usa contano di mantenervi una propria area d’influenza, collide frontalmente con la prima delle paure di Erdogan: un’entità curda ai suoi confini, dominata da una filiazione del Pkk.
Neanche le recenti aperture ad Israele possono ovviare al suo isolamento, né tantomeno la faticosa normalizzazione dei rapporti con Mosca può dare un completo affidamento. Putin sa bene che quella del “sultano” è una piroetta dettata dalla necessità, e sa pure che nel Caucaso e in Ucraina la Turchia è più che mai attiva nel tentare di far risorgere il terrorismo fondamentalista. Lo userà, certo, con la consueta spregiudicatezza, ma di sicuro niente sarà come prima.
Lo ripetiamo: Erdogan è più che mai isolato e sta portando il suo Paese verso un’esperienza che ricorda troppo lugubri vicende del passato, quando Nazioni intere hanno seguito entusiaste i loro capi verso la rovina. Il colpo di Stato ha dato l’occasione per un’accelerazione verso la tragedia.