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Cina, lo yuan entra tra le valute di riserva globale

di Salvo Ardizzone

Pechino è finalmente riuscita a centrare un obiettivo inseguito da anni: lo yuan (chiamato anche renminbi) è entrato nel club delle monete che il Fmi usa per determinare le proprie unità di conto globale (come una volta si faceva con l’oro) insieme a dollaro, euro, sterlina e yen.

Non si tratta di un riconoscimento pratico e poco cambierà nell’immediato, ma è una grande vittoria politica in un anno infelice per l’economia cinese, con le borse di Shanghai e Shenzen alle prese con le bolle speculative, il Pil rivisto continuamente al ribasso e le necessarie riforme economiche (quelle vere) che continuano a segnare il passo.

L’entrata dello yuan nel paniere delle monete del Fmi è un grande passo avanti nell’integrazione del sistema finanziario cinese nella finanza globale, ma la moneta di Pechino non è ancora scambiabile liberamente sui mercati e il suo valore di cambio, malgrado molto sia stato fatto questa estate, non è ancora libero.

La Cina è a un passaggio decisivo; lo sviluppo che ha fin’ora avuto è dovuto alla combinazione di redditi bassi (leggi sfruttamento di mano d’opera sottopagata) ed esportazioni di mediocre qualità e basso prezzo. A questo si sono aggiunti enormi investimenti in infrastrutture spesso inutili e sovvenzioni a fiumi alle industrie statali inefficienti, che hanno fatto la fortuna di una casta di manager di stato inetti quanto avidi.

Questo modello è adesso insostenibile; Pechino deve puntare su un aumento dei consumi interni attraverso una maggiore redistribuzione dei redditi che non possono continuare ad essere accantonati, pena il crollo dell’intero sistema. È la trappola del “reddito medio” che ha messo in crisi le altre economie emergenti, incapaci di divenire sviluppate.

Per sfuggirle Xi Jinping deve attuare riforme radicali vincendo le strenue resistenze di potentati che nelle aziende di stato hanno i propri enormi interessi, oltre a stravolgere la mentalità che da sempre è stata inculcata ai cinesi e limitare una corruzione dilagante.

Una sfida difficilissima che ha ben poco tempo per vincere. Se perdesse, le ripercussioni squasserebbero l’economia mondiale peggio della crisi del 2007/2009.

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