Caso Moro, indagate negli archivi rossi
Illuminare le numerose zone d’ombra che tuttora permangono sull’atto terroristico più grave della storia della Repubblica. Con questo obiettivo il Senato ha istituito la commissione parlamentare d’inchiesta sul rapimento e sull’uccisione di Aldo Moro. L’organismo bicamerale si giova della normativa sulla desecretazione degli atti.
Esso potrà altresì attingere alle risorse enormi offerte dagli archivi dei Paesi dell’Est. Opportunità quest’ultima preclusa o comunque fortemente limitata negli anni in cui operarono analoghe commissioni d’inchiesta, pervenute quasi sempre a risultati deludenti. Le scoperte effettuate da isolati e volenterosi storici, ad esempio sulle esplosioni a piazza della Loggia a Brescia e alla stazione ferroviaria di Bologna, inducono all’ottimismo. Ma la prudenza, mai come in questi casi, è d’obbligo e la ragione non appare difficile da comprendere. Aldo Moro fu una delle figure cardine della cosiddetta prima Repubblica.
Allo statista pugliese, così come ad altri democristiani di diversa estrazione come Paolo Emilio Taviani, venne affidata la tutela dei delicati equilibri scaturenti dalla Guerra fredda nel paese dove operava il più forte partito comunista d’occidente. Moro fu anche uno dei principali interpreti di una tendenza nazionale mirante a tradurre i crediti guadagnati nell’alleanza atlantica in una politica di maggiore autonomia nello scacchiere mediterraneo.
Una seria inchiesta sulla tragedia di via Caetani non può prescindere da queste considerazioni. Non certo per propinare la storia semplicistica e fuorviante delle Brigate Rosse eterogestite da un grande burattinaio. Le Br nacquero all’interno della sinistra rivoluzionaria e per l’ideale comunista trascinarono migliaia di giovani negli abissi sanguinari della lotta armata. Al contempo però le Br non rappresentavano un fenomeno solo italiano. I suoi vertici erano integrati in una rete internazionale del terrore a cui appartenevano le principali organizzazioni eversive europee e che fece a lungo base a Parigi.
Paesi dell’Est e omicidio Moro
È attorno a questa rete che diversi Paesi anche dell’Est giocarono una partita finalizzata anche a interferire nelle nostre vicende politiche. Molti sono gli indizi che spingono in questa direzione. Ma nel nostro Paese non v’è ancora consapevolezza delle gravissime ingerenze subite dai Paesi d’Oltrecortina. Ciò anche perché gli eredi del Pci, detentori di una lunga e asfissiante egemonia culturale, sono riusciti nell’intento di ridicolizzare ogni chiave interpretativa differente dalla solita «trama atlantica».
Va ricordato che non tutti a sinistra si sono appiattiti a queste letture semplicistiche. Giornalisti come Giovanni Fasanella hanno avuto il coraggio di rendere note storie riservate come il probabile tentato omicidio di cui fu vittima Berlinguer in Bulgaria nel ’73, un episodio tuttora motivo d’imbarazzo per molti esponenti dell’ex Pci. Merita un encomio particolare l’ex senatore Pellegrino che da Presidente della Commissione Stragi tentò una ricerca senza pregiudizi, trovando proprio nella coalizione da cui proveniva i maggiori ostacoli. E le dichiarazioni rilasciate di recente dal senatore del Pd Gotor, autorevole storico e relatore del nuovo DDL, sono condivisibili in pieno. Le novità sul caso Moro oggi possono giungere proprio dagli archivi dell’Est.
La sinistra ha quindi l’opportunità di liberarsi finalmente del pesante fardello ereditato dalle «Botteghe oscure». Essa può fornire un contributo utile a un paese che deve fare i conti in modo onesto con il passato. Altrimenti, se a prevalere sarà ancora il dogmatismo manicheo stile Pci, le attività della nuova commissione parlamentare si riveleranno l’ennesima fatica sprecata.
di Valerio Cutonilli
Fonte: Il Tempo