Caro Renzi, la ricreazione è finita
Per mesi e mesi, Renzi, riparandosi dietro raffiche di annunci a effetto fatti per i media, ha evitato di decidere cosa fare, lasciando che i fatti lo smentissero in sordina. Da ultimo, la tanto strombazzata spending review, per cui ha promesso sfracelli, dopo i tira e molla che hanno fatto imbestialire Cottarelli, è sfociata nei soliti tagli lineari in stile Tremonti: – 3% a tutti i Ministeri per racimolare gli almeno 20 Mld che mancano all’appello.
Intendiamoci, il quadro è disastroso di suo, siamo in una recessione-deflazione che ha radici antiche e le cui colpe sono da addebitare a molti: politici inetti e corrotti, certo, ma anche quella vasta parte di un Sistema che sugli sprechi e l’inefficienza c’è ingrassata, da alti burocrati e pseudo imprenditori, a lobby piccole e grandi, e giù fino a chi strilla per i privilegi degli altri ritenendo sacrosanto il proprio.
Il fatto è che il tempo è ormai scaduto: Draghi, all’improvviso, ha rotto gli indugi iniziando l’offensiva della Bce contro recessione e deflazione, malgrado l’inviperita opposizione della Bundesbank e di Berlino; ha agito sui tassi, ma soprattutto ha messo mano a quelle operazioni non convenzionali per dare liquidità ai mercati. Tutto questo, però, sarà inutile se gli Stati non metteranno mano a riforme vere eliminando sprechi e storture dei sistemi, in caso contrario quel denaro non sortirà effetto o finirà in secchi sfondati che lo disperderanno senza risultati sull’economia reale.
Anche l’Italia dovrà rompere gli indugi, ma ora, dopo non servirebbe proprio; a giorni si dovrà mettere mano a una legge di stabilità (leggi di bilancio) nel momento peggiore e il nostro Premier si trova dinanzi a un bivio: continuare a inseguire il consenso, blandendo gli elettori, o metter mano a riforme vere, contro quell’establishment che a parole dice di combattere? Ci fu chi disse che: ”Il politico pensa alle prossime elezioni, lo statista alle prossime generazioni”; Renzi, che statista non è e neanche prova ad esserlo, ha invece bene in testa la lezione di Schroeder, il Cancelliere socialdemocratico che, negli anni ’90, dopo aver effettuato quelle riforme che rimisero la Germania in carreggiata, e su cui la Merkel campa ancora di rendita, perse di brutto le elezioni finendo pensionato dalla politica.
In tutto il mondo le riforme sono impopolari, perché toccano interessi e privilegi; in un Sistema come quello italiano, fatto d’una miriade di centri di potere piccoli e grandi che da sempre hanno venduto il proprio consenso per ottenere favori da una classe politica inetta, sfiorarli solleva un uragano. Ma è in quei favori, che poi sono privilegi belli e buoni, che si celano gli sprechi e le inefficienze che ci mandano a picco; tagliarli è un obbligo, ma ha visto Cottarelli quanto sia difficile.
Renzi ormai lo ha capito bene, ma continua a non saper che fare: fin’ora ha sperato di tener insieme consenso (che poi è il suo capitale, il suo potere, se lo perdesse verrebbe sbattuto fuori all’istante) e le sue tanto conclamate riforme (che, a parte i titoli, non hanno proprio nulla di concreto) nella speranza che l’Europa, il mondo o chissà chi, spinga l’Italia fuori dagli impicci; ma il quadro diviene sempre più nero e una decisione sa di dover prendere.
D’altronde, dopo averle promesse tanto come fine d’ogni male, gli sarebbe difficile anche archiviarle, così è prigioniero delle sue troppe parole e, nell’incertezza, continua a procedere in modo quanto meno contraddittorio: promette la spending review e con lei la fine degli sprechi e la razionalizzazione della spesa, ma poi, come detto, è costretto ad alzare le braccia, ributtando la palla ai Ministeri perché taglino loro quel –3% nei bilanci (e statene certi, saranno ancora una volta le spese essenziali ad essere falcidiate, perché gli sprechi avranno in chi c’ingrassa i difensori). Lancia una riforma della scuola intitolata al merito e addirittura promette 150mila nuove assunzioni, ma poi il suo Ministro della Pubblica Amministrazione dice candidamente che non ci sono soldi, e che gli stipendi degli statali sono e continueranno a rimanere bloccati. Si affida a quel salvifico “bonus” da 80 Euro (che in fondo gli ha fatto anche vincere le elezioni), ma continua a tenerne fuori gli incapienti, le pensioni minime etc. Tuona contro le 8mila aziende partecipate che dilapidano il denaro dello Stato, ma non dice nulla di concreto su come ridurle a mille come ha dichiarato.
Potremmo continuare ancora a lungo, ma il risultato sarebbe lo stesso: il Premier annaspa pietosamente; il fatto è che dietro lui annaspa un’Italia che ora più che mai avrebbe bisogno di guida; una forte base di consenso potrebbe permettere di mettere mano a decisioni forti, magari impopolari come detto, d’intraprendere una via. Purtroppo non c’è né quella via né tantomeno un progetto; c’è solo la paura d’un giovane politico arrivista di bruciarsi, replicando a Roma ciò che è accaduto a Schroeder a Berlino, con in più la differenza che a Renzi non toccherebbe il contratto d’oro con Gazprom che toccò all’altro, ma solo le rivalse di tutti quelli che ha “rottamato” per fare strada.