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Cara “Italietta”, the show must go on

di Mauro Indelicato

Il bis è un qualcosa che evoca, di per sé, un fatto positivo: si chiede il bis quando uno spettacolo è ben riuscito, si vuole il bis dal cameriere quando un piatto è stato particolarmente gradito, in generale il ripetersi voluto di una situazione lo si tiene nel momento in cui quella data situazione è meritevole di essere ripetuta.

E allora, si comprende come votare il Napolitano bis sia quasi un ossimoro, un’amara contraddizione intellettuale e politica in cui è miseramente scivolata la classe dirigente di un Paese sempre più allo sbando ed orfano di una guida certa e sicura e, soprattutto, credibile.

Mantenere al Quirinale il presidente più fischiato e criticato della Repubblica, è un atto tanto inquietante, quanto scellerato, effettuato quasi a voler prendersi beffa di una popolazione sempre più succube delle decisioni della minoranza legalizzata; dare a Napolitano un secondo mandato, non solo testimonia l’assoluta e profonda incapacità di saper capire gli umori della società, ma anche la volontà non tanto nascosta di andare al braccio di ferro con la stessa società, quasi a voler far capire agli italiani che erano appostati in piazza Montecitorio a fischiare chi realmente comanda.

Infatti, da sabato pomeriggio la spaccatura già di per sé profonda tra Paese fuori dai palazzi e l’Italietta dentro i palazzi è ancora più marcata; di fatto, Napolitano non è il presidente che garantisce l’unità nazionale, ma l’unità della classe politica nazionale, l’unità dei vecchi partiti, una garanzia per chi vede ogni giorno gente che brucia in piazza le tessere del suo stesso movimento politico.

“Re Giorgio” è stata richiamato di fretta e furia all’età di 88 anni (curioso pensare che oltre Tevere un altro capo di Stato vestito di bianco a febbraio lasciava il suo governo perché si sentiva debole ad 85 anni), per fare in modo che i mille deputati che compongono il parlamento italiano possano continuare con lo stesso modus operandi, nonostante la società civile già da tempo mostri segni di insofferenza verso di loro. Ma non solo: quando alle 15 Napolitano ha sciolto la riserva ed ha accettato la ricandidatura, di sicuro a Berlino, a Bruxelles ed a Washington in molti stappavano costose bottiglie di champagne.

Chi meglio di colui che ha dato l’Italia a Monti ed alla troika, può regnare ancora in questa delicata fase e garantire tutti gli interessi in questione? I politici che giustificano l’elezione di Napolitano, non perdono tempo con il dire “questo presidente è una garanzia”, quasi a voler rimarcare il vero motivo che ha riportato al Quirinale lo stesso inquilino che da sette anni unisce la politica ma divide profondamente il Paese.

Se di votazione storica si deve parlare, lo si deve non per il bis, il primo della storia repubblicana, del mandato presidenziale, ma perché per la prima volta fuori Montecitorio c’erano migliaia di cittadini a fischiare ed a urlare “vergogna” a colui che dovrebbe rappresentare tutti gli italiani.

Una censura netta, che sembra uscire quasi da un palcoscenico di uno spettacolo del teatro dell’assurdo, in cui a stento gli stessi politici riescono ancora a calarsi bene nella parte affidata loro dalla legge elettorale; di certo, per apparire ai microfoni e mostrarsi sereni e convinti di ciò che si è appena fatto, bisogna essere dei bravi attori ed avere un sangue freddo degno del miglior premio Oscar.

Da decenni, il teatrino della politica si regge sulle grandi doti di spettacolo dei nostri “rappresentanti”, ma con la gente che fischia vistosamente o, nella migliore delle ipotesi, non riconosce come proprio il nuovo presidente, è dura mantenere la concentrazione e continuare a recitare.

Ciò che rattrista, specie per chi come il sottoscritto ha in tasca il tesserino di pubblicista, è vedere come gran parte della stampa ha un ruolo attivo nel mantenere in vita lo show; i giornalisti, da incolpevoli (nella migliore delle ipotesi) cavie del teatrino del sistema politico, si sono trasformati in attori protagonisti dello spettacolo.

Oggi sui giornali, è sparita la parola “inciucio” ed è apparsa quella di “storico”; è stato lo stesso Napolitano nella tarda serata di domenica a dire infatti: “Basta parlare di inciucio, si parli di convergenza nazionale responsabile”, quasi a voler far credere alla stessa opinione pubblica che lo spettacolo deve andare avanti e non si può cedere davanti all’ovvietà del misfatto.

I titoli delle maggiori testate, sembravano, come detto prima, uscite anch’esse dal teatrino dell’assurdo, dando maggiormente risalto alla storicità del bis presidenziale e non invece alla gravità del gesto e dei fischi dell’opinione pubblica.

Oramai dunque, il Paese è diviso e spaccato: da un lato il sistema politico-economico basato sullo squallido teatrino che ha portato all’elezione di Napolitano, dall’altro la società civile; l’Italia del 21 aprile 2013, sembra non aver nulla di diverso da quella dell’8 settembre 1943, quando calò sulla penisola l’ombra dell’armistizio.

In quella data, i soldati non sapevano più dove fosse il Re, per chi combattere, se stare con i tedeschi o con gli alleati, in poche parola non c’era più l’Italia e gli italiani erano rimasti disorientati e spaesati in attesa dell’evolversi degli eventi: oggi, come allora, non c’è più uno Stato, non c’è più un’unione civile, non si sa da quale parte stare, non si riconosce più nessuna forma di autorità.

Anche lo stesso Beppe Grillo oggi non sapeva cosa fare: si è ritrovato a Roma e non sapeva se arringare la folla oppure mantenere i toni cauti, preferendo poi di non decidere affatto e di allontanarsi dalla capitale, non  dando alcun ordine ai tanti cittadini che si erano radunati dinnanzi il Colosseo.

Dopo il colpo di Stato che ha portato Monti a Palazzo Chigi, dopo il secondo colpo di Stato che ha portato il Paese in mano a 10 “saggi”, adesso chiude il quadro la scellerata riconferma di Napolitano; ma ancora non è finita: si parla infatti, di affidare il governo a uno tra Amato e Letta, personaggi anche loro prodotti indefiniti e “grigi” della Seconda Repubblica ed anche loro fortemente contestati dall’opinione pubblica.

Ma forse ormai tutto questo non interessa più; chiunque vada a Palazzo Chigi o al Quirinale, non arriverà mai ad avere la legittimazione popolare ed aumenterà soltanto lo scollamento tra Paese civile ed istituzioni: questo la politica prima lo capisce e meglio è, al fine di evitare il definitivo scioglimento dei fondamenti dell’unità nazionale.

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