“I bugiardi della Shoah”, quando la “memoria” fa cilecca
Il 14 marzo 2014, la casa editrice Effedieffe ha presentato al pubblico italiano, dopo diverse settimane di lavorazione il suo sforzo editoriale, ovvero l’atteso I bugiardi della shoah (Menteurs et affabulateurs de la shoah) della scrittrice Anne Kling. “Venuti a conoscenza della pubblicazione di un testo sui Menteurs olocaustici, lo abbiamo acquisito con l’intento di tradurlo e pubblicarlo in Italia. Oggi coroniamo questo desiderio dopo un intenso lavoro di localizzazione e lo presentiamo al nostro pubblico”.
I protagonisti del libro sono i mitomani della shoah, i traghettatori dell’Olocausto, quelli che, con i loro drammatici scritti autobiografici (prontamente tradotti in numerosissime lingue), a partire soprattutto dagli anni ’60, hanno imposto al mondo un ricordo costante di orrori indicibili, instillando nella nostra testa un perenne senso di colpa per tutto quello che concerne le persecuzioni contro gli ebrei, oramai riunite sotto il magico termine di shoah, termine che – precisa la Kling – «solo di recente ha assunto questa accezione, e precisamente nel 1985, quando venne proposta con questo significato dal film di Claude Lanzmann intitolato, per l’appunto, Shoah. Il film, lungo 9 ore e 30, fu qualificato come “progetto di interesse nazionale” da parte dello Stato di Israele che partecipò direttamente al suo finanziamento».
Libro denuncia sulla Shoah
Il lavoro della Kling, che può essere annoverato tra i libri di denuncia a fianco ad altri nomi come Faurisson, Mattogno, Zundel, Graf, Irving, Valli… passa in rassegna i casi più eclatanti di “psico-mitologia olocaustica” che negli ultimi 50-60 anni, hanno infestato le librerie di tutto il mondo, gli show televisivi, i film, i libri scolastici, in definitiva tutta la cultura occidentale. Una raccolta di tutte le menzogne gridate verso un’opinione pubblica disattenta e lobotomizzata.
Qualche accenno storico tratto dall’introduzione della stessa Kling: «Nella scia di Norimberga, a titolo di parziale “risarcimento” per le persecuzioni subite, fu concesso ai superstiti ed ai sionisti della prima ora quello che quest’ultimi attendevano da molto tempo: la creazione dello Stato d’Israele. Un avvenimento di portata storica, che si realizzò nel 1948. Finalmente i campi profughi si svuotavano e la terra promessa si riempiva. Ma c’era ancora tanto da fare. Un grande lavoro attendeva difatti il giovane Stato nascente e per diversi anni, ovvero fino al 1960, non si sentì più granché parlare – né in Israele né nella diaspora – delle disgrazie patite dagli ebrei durante la guerra. Era un argomento tabù che metteva tutti a disagio».
Quando cominciò ad imporsi la battente propaganda che tutti conosciamo?
«La situazione inizia a cambiare nel 1960 con la cattura di Adolf Eichmann ed il successivo Processo a suo carico tenutosi a Gerusalemme nel 1961, ovviamente diffuso capillarmente tramite i mass media; un processo a cui seguì una prevedibile impiccagione nel 1962. I sopravvissuti dei campi sfilarono alla sbarra dell’imputato per esprimere finalmente tutto ciò che non avevano avuto l’opportunità di dire fino a quel momento; tutto quello che avevano represso per quindici lunghi anni; tutto quello che i loro correligionari non avevano voluto più sentir nominare, ma che in quel momento erano pronti ad ascoltare, perché i tempi erano finalmente “maturi”. Era giunta difatti l’ora di coalizzare lo Stato ebraico intorno ad un passato comune e di sfruttare il senso di colpa che gli Stati occidentali provavano al riguardo».
Il ruolo della stampa mondiale
«Nessuno si azzardò a mettere in dubbio o verificare i ricordi, i traumi e le accuse di questi testimoni. Al contrario, la stampa mondiale – in modo compiacente – diede loro carta bianca per raccontare i dettagli più orribili di quelle passate esperienze. L’emotività prese il sopravvento sulla ricerca della verità. I superstiti stavano per passare dallo stato vagamente disonorevole di sopravvissuti a quello di eroi, utili al loro Paese».
Confrontando i loro scritti e le loro dichiarazioni rilasciate anno dopo anno, l’autrice enumera le approssimazioni, le inverosimiglianze geografiche o storiche e, soprattutto, le contraddizioni che minano i ricordi di questi monumenti alla “Memoria”. A mostri sacri della “Sacra Causa” del calibro di Anna Frank, Elie Wiesel ed il “cacciatore” Simon Wiesenthal, sono stati dedicati i tre capitoli finali (dal titolo perentorio “Tempi duri per i miti”). Il testo si chiuderà poi con un capitolo dedicato alle conclusioni dell’autrice, che termina ponendosi domande scomodissime.
Sono 320 pagine di grande interesse, scritte da una donna coraggiosa, scrittrice brillantissima che negli ultimi quindici anni è stata al centro di numerose iniziative – sia politiche che culturali – antieuropeiste a difesa dell’ identità nazionale fortemente compromessa dall’azione di lobbies che in Francia sono storicamente potentissime.
di Cristina Amoroso