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Brexit ed espatriati britannici: una questione aperta

di Cristina Amoroso
“Se il Regno Unito nega ai lavoratori dell’Ue il diritto di lavorare nel Regno Unito, perché mai i nostri paesi adottivi dovrebbero mantenerci i diritti, facendo esattamente la stessa cosa”? Si chiede Alex Taylor, giornalista e conduttore radiofonico e televisivo britannico, che ha lasciato il Regno Unito per la Francia agli inizi degli anni ’80.

Alex è uno dei due milioni di cittadini britannici che, se il Regno Unito con il referendum uscisse dall’Unione Europea, potrebbero perdere i diritti acquisiti, residenza, occupazione e pensione.
Il Regno Unito è riconosciuto come il paese dell’Ue con il più alto numero di suoi cittadini che vivono all’estero. Nessuno sa esattamente quanti cittadini del Regno Unito hanno approfittato della libera circolazione. Molti di loro lavorano e utilizzano i sistemi sanitari pubblici e i benefici sociali nei paesi adottivi.

Ci sono circa 800mila cittadini britannici in pensione nella sola Spagna, che sono liberi di utilizzare il sistema sanitario spagnolo (e quindi non occupano i preziosi letti del National Health Service britannico).

“Noi improvvisamente diventeremmo cittadini non comunitari con gli stessi diritti di residenza e di lavoro come, ad esempio, gli extra comunitari – afferma Alex . Nessuno sembra aver pensato a piani di emergenza, se tutti noi dobbiamo tornare a casa. Inoltre, quelli di noi che hanno vissuto all’estero per più di 15 anni, non hanno nemmeno il diritto di voto in un referendum che sconvolgerebbe la nostra vita molto più di quella dei votanti”.

Sta di fatto che gli espatriati britannici hanno intensificato la loro campagna contro il Brexit, che li priverebbe dei loro diritti (pensione e sanità, lavoro e proprietà), anche se, in caso di Brexit, questi vantaggi sarebbero per la rinegoziazione – probabilmente paese per paese – che porterebbe a mesi di incertezza.

L’assistenza sanitaria è attualmente gratuita per quelli con una tessera europea di assicurazione malattia (Team) a pensionati statali del Regno Unito che vivono nello Spazio economico europeo (See). Ma se la Gran Bretagna esce dalla Ue, questi espatriati dovrebbero acquistare l’assicurazione sanitaria privata o pagare per ogni trattamento.

Il primo ministro britannico, David Cameron, di ritorno dall’ultimo incontro a Bruxelles ha dichiarato che la questione delicata da appianare si riferisce alla limitazione del diritto dei “benefici di lavoro” per i nuovi arrivati dalla Ue, per un massimo di quattro anni. Si ipotizza che questa misura potrebbe essere applicata anche a espatriati britannici di ritorno dal continente.

Mentre rimane grande incertezza sugli effetti precisi, perché il futuro rapporto del Regno Unito con l’Ue in caso di un Brexit è ancora sconosciuto – questo dipenderà dalle disposizioni dei trattati da concordare con gli altri membri dell’Unione Europea – un punto che è emerso nelle ultime settimane è un possibile crollo del valore della sterlina.

Le principali banche prevedono che potrebbe cadere di ben il 20%, riducendo in modo significativo la capacità di spesa per i pensionati britannici che vivono in Francia, in Spagna o in Italia.

La Bank of America ha dichiarato che un Brexit porterebbe molti servizi bancari e finanziari a lasciare Londra per i paesi Ue e la Hsbc ha detto che nel caso di un Brexit sposterà parte delle sue attività a Parigi – per circa mille posti di lavoro.

Nel frattempo il primo ministro britannico David Cameron ha annunciato un referendum che si terrà il Giovedi 23 giugno, per decidere se la Gran Bretagna deve rimanere nell’Unione europea.
Alla notizia, Harry Shindler, un veterano della seconda guerra mondiale che vive in Italia, ha invitato David Cameron a ripristinare i diritti di voto per tutti gli espatriati britannici in Europa in tempo per potere partecipare al referendum.
“Abbiamo più di tre mesi. Questo può ancora andare in Parlamento e dovrebbe essere una priorità, ha detto Shindler, di 94 anni. “Se votiamo, non c’è alcun dubbio, vincerà il sì”.

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