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Un Afghanistan in rovina saluta la fine della tragica “avventura” americana

di Salvo Ardizzone

Presi dai tanti avvenimenti drammatici e più vicini a noi ce lo siamo scordato, ma quest’anno, entro dicembre, Nato e Stati Uniti verranno finalmente fuori dall’Afghanistan, mettendo fine a un’avventura per cui hanno sacrificato migliaia di vite e un fiume di denaro; sul terreno ci sono ancora circa 50mila soldati dell’Isaf fra cui più o meno 34mila americani e 5mila inglesi, ma a fine 2014 si chiude.

Almeno è quello che si dice, ma già adesso è chiaro che potrebbe non essere così, a meno di fatti imprevisti. Senza quell’appoggio, il regime di Karzai, marcio fino al midollo, crollerebbe all’istante sulla propria corruzione e inefficienza prima ancora che sulla spinta degli “insorgenti”, per usare il termine ufficiale.

Da tempo si dice piano, per non disturbare troppo opinioni pubbliche che di avventure all’estero non vogliono più sentire, che in quel Paese dovrebbero rimanere intorno a 10mila uomini, gente delle Forze Speciali e specialisti che per contratto, all’occorrenza, muore con discrezione; sarebbe il minimo per continuare a tenere in piedi quel governo.

Ma c’è un ma: ad aprile ci sono le elezioni e Karzai, malgrado non possa essere rieletto ancora, per farsi perdonare corruzione e malgoverno, da tempo agita la bandiera del nazionalismo (l’unica che gli sia rimasta per quel che vale) e rifiuta di firmare il Bsa (Bilateral Security Agreement), l’accordo che garantirebbe a quelle truppe uno status per continuare ad operare; senza di quello, Usa e Gran Bretagna non si fidano a lasciare i propri soldati in ostaggio (e a continuare a spendere montagne di denaro).

Il fatto è che le forze di sicurezza afghane, son ben lontane dall’essere autosufficienti; l’Ana (Afghan National Army) è vero che ha raggiunto circa 192mila effettivi, ma è stato creato troppo in fretta e, per fare numeri, non s’è andato per il sottile negli arruolamenti. Mancano i mezzi, le tecnologie, inoltre perde circa 4/5mila uomini al mese fra diserzioni, mancate rafferme, morti e feriti, e le perdite salgono costantemente a mano a mano che sostituisce sul campo i reparti dell’Isaf, perché non ne ha i mezzi né l’addestramento. Per la Polizia la situazione è ancora più disastrosa; ha circa 152mila uomini, ma assai peggio reclutati, addestrati ed equipaggiati dell’Ana (ed è tutto dire); per metterci una pezza, si sta procedendo in tutta fretta a costituire forze locali di polizia (Afghan Local Police), con funzioni di autodifesa dei villaggi, ma è tutto in alto mare a prescindere dalla validità che possano avere.

In ogni caso, a prescindere da Forze Speciali e di sostegno sul campo, bisognerà continuare a pagarli tutti questi uomini, e sono montagne di denaro; per inciso, ricordiamo che dei più di 100 mld di $ che gli Usa hanno destinato alla ricostruzione del paese (diremmo sprecato visto i risultati) oltre il 60% è andato alla voce sicurezza; certo, fra mazzette, corruzione e sprechi, solo una piccola parte è arrivato dove doveva, ma il costo è rimasto e il risultato manca. Ed è un costo di cui qualcuno dovrà continuare a farsi carico anche dopo il ritiro, se non vuole che tutto collassi nello spazio d’un mattino.

Nel frattempo Karzai continua a giocare con quel fuoco che potrebbe bruciarlo fra breve, e mentre ritarda la firma dell’accordo, i contingenti si preparano rapidamente al ritorno: le basi vengono trasferite all’Ana (che in diversi casi le abbandona non sapendo come mantenerle), mentre i materiali (che sono tantissimi) in parte vengono distrutti per non lasciarli agli “insorgenti”, in parte devono essere rimpatriati, ed è un problema per i costi. Il Pentagono stima che serviranno almeno 5 mld di $, mentre gli Inglesi pagheranno una bolletta di almeno 300 ml di sterline. Serviranno ponti aerei colossali e lunghissimi convogli su interminabili strade dissestate, e questo vale per tutti i contingenti, italiano compreso.

E gli “insorgenti”? I tanto pubblicizzati colloqui di pace non hanno potato a nulla; perché avrebbero dovuto trattare “sporcandosi” con un governo corrotto e autoreferenziale, quando basta attendere una data certa e il ritiro dell’Isaf? Inoltre, molte cose sono cambiate dai primi anni: il fronte degli “insorgenti” è assolutamente frantumato; gli attacchi dei droni in Pakistan e le Forze Speciali hanno falcidiato i capi, e chi è subentrato alla testa delle bande non riconosce le gerarchie, e, nell’alveo di ataviche tradizioni, è interessato solo al dominio sulla propria valle. Anche l’influenza del network al Qaeda è ridotto al minimo, e quello delle altre organizzazioni con sede in Pakistan hanno perso gran parte del controllo su chi combatte dentro. Al momento non sono più di 20mila ad essere stabilmente impegnati (oltre a chi per convinzione o per paura li fiancheggia), hanno pur sempre avuto colpi durissimi negli scontri, ma c’è da scommettere che a breve si moltiplicheranno, come sempre quando s’intravede un vincitore.

Le somme si tireranno a fine anno, ma già adesso si può fare qualche riflessione su questa sciagurata avventura: un’enorme quantità di vite e un’immensa quantità di soldi sono state bruciate per lasciarsi dietro un Paese distrutto, saccheggiato da una dirigenza che dire corrotta è poco; avviato a divenire un narcostato, perché la possibilità più solida per sopravvivere, data a vasta parte della popolazione delle campagne, è coltivare oppio (peraltro trafficato con la piena complicità di apparati del cosiddetto stato, col chiacchierato fratello del Presidente in testa).

È stata un’occasione di far soldi per industrie della difesa, società di contractor e di servizi da un canto, e una pioggia d’oro su autentici ladroni che sul territorio hanno accumulato fortune con traffici e corruzione dall’altro. E tutto sulle rovine d’un popolo.

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