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Shireen Abu Akleh, il proiettile è partito da fucile israeliano

La giornalista di Al Jazeera, Shireen Abu Akleh è stata uccisa a colpi d’arma da fuoco l’11 Maggio del 2022, durante un raid militare dell’esercito israeliano. Il raid è avvenuto nel campo profughi di Jenin, in Cisgiordania. La Akleh, come sempre, si trovava in prima linea per denunciare i crimini del regime sionista.

Le denunce della giornalista israeliana avevano riportato lo scempio che viene compiuto quotidianamente dall’esercito sionista ai danni dei palestinesi. Abusi continui, armi spianate ad altezza d’uomo, regole puntualmente disattese che manifestano il senso di onnipotenza e di impunità internazionale di cui gode Israele.

Abu Akleh dava fastidio, come la sua collega maltese Caruana Galizia che saltò in aria con la sua macchina il 16 ottobre del 2017 a Bidnija, a Malta. Mentre per Caruana Galizia ci furono i riflettori accesi, per Abu Akleh la notizia è passata in sordina, cercando in tutti i modi di omettere la verità.

L’attacco al funerale di Shireen Abu Akleh

Il 13 Maggio del 2022, mentre si svolgeva il funerale della giornalista, la polizia sionista in assetto antisommossa aggrediva con manganellate, calci e pugni la folla che rendeva omaggio alla salma. Emblematiche sono le immagini della bara che ondeggia sulle spalle di chi la trasportava mentre subiva la vile aggressione delle forze di polizia israeliane. Le immagini hanno fatto il giro del mondo, mostrando per chi sapesse e volesse vedere realmente i fatti, cosa è lo “stato sionista” e come manifesta le sue politiche repressive.

Il tentativo di mettere a tacere le cose, di occultare, di silenziare, di far passare il meno possibile è andato male. A mettere i bastoni tra le ruote al governo sionista e alle sue pratiche aberranti, è arrivato il New York Times, non un pericoloso giornale sovversivo che attenta alla stabilità del “più democratico degli stati” nella zona.

“Il proiettile che ha ucciso la giornalista di Al Jazeera, proveniva da un convoglio israeliano”. Chiaro, semplice, diretto, terrificante. Quello che tutti sospettavano, che tutti immaginavano ma che avevano paura di affermare, è stato detto senza giri di parole da un quotidiano americano. Il New York Times, che di indagini e scoop se ne intende, non ci ha pensato due volte ed ha contraddetto la versione di Israele secondo la quale, il colpo sarebbe stato sparato per rispondere al fuoco dei palestinesi. Vecchia scusa, vecchia storia.

Le nefandezze di Israele

A contraddirli, prima che gli americani, sono stati i palestinesi quando il 26 maggio, in seguito all’analisi forense sul proiettile, hanno affermato che la reporter di Al Jazeera era stata uccisa da “militari israeliani.” Insomma, da dove provenisse quel proiettile era chiaro, solo che a sparare era stato un militare dello “stato sionista”, non un palestinese, ergo la notizia si doveva far passare il minimo possibile e, soprattutto, affibbiare la colpa ai palestinesi.

La realtà, però, è diversa: dalle immagini registrate da un testimone si sentono partire sei colpi improvvisi, i giornalisti presenti cercano di ripararsi, Abu Akleh cerca protezione dietro un albero. Successivamente partono altri colpi, sette per la precisione, in tutto saranno sedici i colpi sparati in quel frangente. Poi si sentono delle urla, qualcuno chiede se ci sono feriti, poi il video mostra il corpo della giornalista riverso faccia in giù in una pozza di sangue, qualcuno la chiama, poi si sente: “È morta! È morta!”, poi partono altri colpi.

Shireen Abu Akleh è stata uccisa da un proiettile che è partito dalla zona in cui si trovava un convoglio dell’esercito israeliano, 300 metri di distanza, un colpo solo, preciso. In zona non vi erano palestinesi armati. A niente è servito il giubbotto anti proiettile, a niente è servito l’elmetto a niente è servita la scritta “Press” a caratteri cubitali, anzi, forse è proprio quello che serviva all’eroico soldato sionista che ha tolto di mezzo una voce scomoda, una voce che non si piegava al main stream e dinnanzi alle nefandezze dell’illegale “stato sionista”.

di Sebastiano Lo Monaco

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