Abbas: “La Palestina non è più vincolata agli accordi di Oslo”
Mercoledì 30 settembre, in un discorso tenuto davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, nel giorno del primo alzabandiera ufficiale della Palestina, il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha dichiarato che l’Autorità Palestinese non si ritiene più legata al rispetto degli Accordi di Oslo con Israele a causa della politica israeliana degli insediamenti illegali, volta a sottrarre ed annettere porzioni sempre più vaste di territorio palestinese, in palese violazione delle leggi internazionali e degli accordi sottoscritti nel 1993 e nel 1995.
“Israele rifiuta di impegnarsi a rispettare gli accordi con noi sottoscritti, continuando a violarli palesemente. Fino a quando Israele continuerà a renderci un’autorità senza poteri reali, continuerà le attività di colonizzazione e si opporrà al rilascio dei prigionieri palestinesi, continuerà a colpire i luoghi sacri dell’Islam e della cristianità a Gerusalemme, noi non avremo altra scelta che ribadire che non siamo più disposti ad essere l’unica delle parti in causa a rispettare tali accordi. Dichiariamo pertanto che non possiamo continuare ad essere vincolati ad essi con Israele e accettarne passivamente le loro continua violazione. Israele si assuma le proprie responsabilità in qualità di potenza occupante, perché lo status quo non può più continuare”, ha dichiarato Abbas davanti all’Assemblea. E ha sottolineato che, “la Palestina, che è uno stato osservatore presso le Nazioni Unite, merita il pieno riconoscimento e la piena adesione” a livello internazionale.
Il 29 novembre 2012, l’Assemblea Generale ha votato per aggiornare lo stato della Palestina alle Nazioni Unite da “ente osservatore non membro” a “stato osservatore non membro” nonostante la forte opposizione di Israele e degli Stati Uniti. Gli Accordi di Oslo (Dichiarazione dei Principi – DOP), con cui Israele e Olp arrivarono a un reciproco riconoscimento, prevedevano un graduale ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza e dalla Cisgiordania e sancivano il diritto dei palestinesi all’autogoverno di quei territori. A più di vent’anni da quello che è considerato uno dei momenti cruciali per la questione israelo-palestinese, il ritiro israeliano di fatto non è mai avvenuto; così come non è mai avvenuto alcun riconoscimento, nemmeno formale.
Nella Striscia di Gaza la popolazione è strangolata da un assedio criminale che la isola via mare, via terra e per via aerea, rendendola di fatto intrappolata nella più grande prigione a cielo aperto del mondo; in Cisgiordania e a Gerusalemme Est la popolazione palestinese subisce un’occupazione che nega qualsiasi diritto; per contro è cresciuta in maniera esponenziale la presenza dei coloni israeliani e l’espansione delle colonie illegali. Noam Chomsky nel 1997 – nel suo “Il Potere. Natura umana e ordine sociale”- definì gli Accordi di Oslo “La pace del vincitore”, sottolineando cosa essi rappresentassero in realtà: “La Dichiarazione dei principi e i successivi accordi incorporano la versione estrema del negazionismo statunitense-israeliano. L’accordo finale si fonda unicamente sulla risoluzione 242, senza alcun riconoscimento dei diritti nazionali dei palestinesi.
Fuori della porta rimane la posizione della maggior parte del resto del mondo: ossia, che accanto alla risoluzione 242, la quale riconosce solo i diritti degli Stati esistenti, andrebbero considerate anche le risoluzioni delle Nazioni Unite che si sono espresse a favore dei diritti palestinesi (…) Quando la Dichiarazione dei principi venne annunciata, gli osservatori bene informati riconobbero che non offriva “nemmeno l’accenno di una soluzione al problema di fondo che esiste tra Israele e i palestinesi”, né nel breve periodo né strada facendo (il giornalista israeliano Danny Rubinstein). Il suo significato operativo divenne ancora più chiaro dopo l’Accordo del Cairo del maggio 1994, col quale si assicurò che i territori amministrati da Arafat sarebbero rimasti “completamente nell’ovile economico di Israele”, come osservò il Wall Street Journal, e che l’amministrazione militare sarebbe rimasta intatta in tutto fuorché nel nome. L’importanza dell’accordo venne immediatamente compresa in Israele.
Meron Benvenisti, ex vice sindaco di Gerusalemme e capo del Data Base Project per la sponda occidentale, oltre a essere da molti anni uno dei più scaltri osservatori dell’informazione ufficiale israeliana, commentò che l’Accordo del Cairo, “a tal punto che è difficile credere ai propri occhi nel leggerlo, […] garantisce all’amministrazione militare l’autorità esclusiva nella ‘legislazione, aggiudicazione, esecuzione politica’ e responsabilità per l’esercizio di questi poteri in conformità col diritto internazionale” che gli Stati Uniti e Israele interpretano a proprio piacimento. “L’intero intricato sistema di ordinanze militari […] conserverà la sua forza, a parte la facoltà di regolamentazione legislativa e quanti altri poteri Israele potrà espressamente garantire ai palestinesi. I giudici israeliani conservano ‘poteri di veto su qualsiasi legislazione palestinese’ che potrebbe mettere a repentaglio i principali interessi israeliani”, che hanno ‘la precedenza’, e vengono interpretati come Stati Uniti e Israele preferiscono. Pur essendo subordinate alle decisioni di Israele su tutte le questioni di una certa importanza, alle autorità palestinesi viene garantito un dominio di loro esclusiva competenza: esse hanno “responsabilità esecutiva per qualsiasi cosa venga fatta o non fatta”, il che significa che acconsentono a caricarsi i gravosi costi dei 28 anni di occupazione, dalla quale Israele ha tratto enorme profitto, e ad assumere una perdurante responsabilità per la sicurezza di Israele”.
Nel 2013, a vent’anni esatti dagli Accordi di Oslo, Michel Warschawski, fondatore dell’Alternative Information Center, organizzazione che riunisce attivisti antisionisti israeliani e palestinesi, scrisse che “Post factum si può affermare che chi si era opposto agli accordi di Oslo quantomeno aveva ragione: 20 anni dopo la Dop, nessuno stato Palestinese indipendente e sovrano è stato creato, anche se oggi la Palestina è stata riconosciuta dall’Unesco e ha ricevuto lo status di stato osservatore presso l’Assemblea Generale dell’Onu e la comunità internazionale chiama Mahmud Abbas “Signor Presidente”. Lo storico punto di svolta che segnò la fine degli accordi di Oslo fu nell’anno 2000. Fu l’inizio della riconquista dei Territori Palestinesi guidata da Ehud Barak e Ariel Sharon, come parte della guerra globale di ricolonizzazione portata avanti dei neo-con, e fu la fine del processo di costituzione di uno stato palestinese indipendente. Oggi i palestinesi della Cisgiordania e di Gaza si autofinanziano e amministrano (con l’aiuto della comunità internazionale) il loro malessere. Possiedono inoltre delle proprie forze armate addestrate a reprimere ogni tentativo di fronteggiare l’occupazione coloniale israeliana. Col senno di poi si può dire che gli accordi di Oslo furono un’ottima mossa a favore del colonialismo israeliano”.