A Singapore vertice storico tra Cina e Taiwan
Sabato 7 novembre, a sorpresa, a Singapore si terrà un vertice storico: il presidente cinese Xi Jinping e quello di Taiwan, Ma Ying-jeou, avranno un incontro che sarà in assoluto il primo fra i leader dei due Paesi.
Per comprenderne la portata, per Pechino Taiwan è una provincia ribelle la cui riunificazione è inevitabile, se necessario anche con la forza; per Taipei, Xi non è un Presidente ma un usurpatore. Per dare un’idea della difficoltà di preparare l’evento, i due non si chiameranno “Presidente”, ma semplicemente “Signore”.
La storia di Taiwan comincia nel 1949, quando Chiang Kai-shek portò sull’isola i resti delle sue armate sconfitte da Mao Zedong, sotto la protezione della Marina Usa. Da allora è cambiato il mondo e le parti si sono invertite: la comunità internazionale riconosce Pechino e la piccola (anche se ricca) Taiwan è praticamente isolata.
Adesso il Kuomintang (il partito quasi ininterrottamente al Governo dal ’49) ha pilotato un discreto ma sostanziale riavvicinamento economico con la Cina continentale, e se lo sta giocando in piena campagna elettorale per l’elezione del nuovo Presidente.
La candidata del Partito Democratico Progressista, Tsai Ing-wen, ora all’opposizione ma in testa nei sondaggi, vorrebbe rafforzare la posizione di Taiwan come Stato sovrano e indipendente ed ha protestato per il vertice.
Sia come sia, visti i rapporti di forza e le ciniche posizioni della comunità internazionale, attenta a non entrare in collisione con Pechino, è assai difficile che nel tempo si possa continuare con la finzione delle due Cine. E d’altronde, vasta parte dell’establishment politico ed economico taiwanese guarda di buon occhio le opportunità che una progressiva unione potrebbe dare.
Temi come libertà di stampa, tutela dei diritti civili ed altro ancora hanno poca presa su chi è abituato a misurare tutto col conto in banca.