Islam e aniconismo
Islam Shia – La relazione tra arte e religione nell’Islam nel corso dei secoli è stata complessa. Questa ricca varietà di espressioni e tendenze può essere vista come un’interazione armoniosa tra diversi popoli musulmani piuttosto che uno scontro di culture o civiltà. È un dato di fatto che l’arte fiorì nella maggior parte delle società musulmane, ognuna con le sue caratteristiche specifiche.
Tuttavia, in alcuni ambienti musulmani, a causa di visioni non-ortodosse estreme, specialmente negli ultimi decenni e dopo la diffusione del cosiddetto “islamismo ideologico”, molte forme d’arte sono state considerate con sospetto. Con il pretesto di tornare a una forma pura di Islam, molte espressioni artistiche sono state bandite. Dall’altra parte però, come reazione, alcuni considerano le forme artistiche non figurative come una “non arte”. Non condannando alcuna forma d’arte – trovando ognuna di esse il proprio posto all’interno della struttura islamica – vorremmo in questa sede evitare di sottovalutare le implicazioni religiose derivanti da alcuni punti di vista islamici legittimi che enfatizzano la natura astratta dell’arte religiosa.
Prima della profezia di Muhammad (S), gli idoli e le immagini erano diffusi nella Penisola Arabica. Con l’avvento dell’Islam tali rappresentazioni sono state gradualmente utilizzate meno, anche se in nessuna parte del Corano troviamo un divieto di statue o immagini. La rappresentazione di un idolo non è certamente permessa nell’Islam, ma va notato che molte, se non la maggior parte, delle rappresentazioni nei primi anni erano direttamente o indirettamente di idoli.
È d’altra parte vero che quando i musulmani sono entrati nella Mecca hanno distrutto tutti gli idoli, ma l’atto era collegato all’Unità di Dio e alla difesa del credo islamico dopo anni di persecuzioni da parte dei notabili di Mecca. In quell’occasione, il Profeta Muhammad (S) proibì qualsiasi vendetta e spargimento di sangue, tranne la distruzione simbolica degli idoli intorno e all’interno della Kaaba.
La distruzione degli idoli può essere vista anche come una difesa contro qualsiasi idea antropomorfa del Divino che non può essere equamente rappresentato da alcuna forma fisica. I mistici musulmani hanno espresso questo concetto parlando del dovere di “distruggere gli idoli che risiedono nel cuore” e hanno cercato di attualizzarlo internamente.
Non vi è dubbio sul divieto sostanziale e categorico dell’Islam diretto alla rappresentazione della Divinità. Il divieto di rappresentare la Divinità mira anche a negare qualsiasi tipo di associazionismo ove nulla di relativo viene considerato allo stesso livello della Verità Assoluta. Negare tale associazionismo è un chiaro atto dell’affermazione di la ilaha illa Allah (non c’è divinità se non Dio).
Quando tale idea viene generalizzata, diventa naturale per alcuni evitare anche le rappresentazioni di profeti, messaggeri e persino santi e figure sacre; non solo perché tali immagini possono diventare oggetto di adorazione o devozione esagerata, ma per rispettare le loro personalità reali e sante che sono in realtà inimitabili. Questa era l’opinione espressa dallo studioso musulmano occidentale Titus Burckhart, le cui preziose opere hanno introdotto la spiritualità islamica ad un pubblico più vasto in Europa e ad alcuni nuovi circoli intellettuali. Egli è andato oltre affermando che le personalità sante sono i vicari di Dio sulla terra creati a “immagine di Dio”. Qualcosa di simile si trova nell’opera al-Kafi, dove è stato riferito che all’Imam Baqir venne chiesto su questo problema e disse: “L’immagine di Dio è una forma che è stata originata e creata. L’ha eletta e scelta su tutte le altre forme diverse e l‘ha attribuita a Sé stesso”.
Questo punto è, per diverse ragioni, molto controverso. In primo luogo, l’espressione “immagine di Dio” che si trova principalmente nella Bibbia appare in una tradizione islamica la cui autenticità non può essere, secondo i criteri islamici, certificata all’unanimità. In secondo luogo, un’espressione del genere sembra essere in diretto contrasto con molte altre tradizioni consolidate che affermano che l’Essenza di Dio non può essere concepita in quanto va al di là di qualsiasi concezione. In effetti, la narrazione di cui sopra spiega che Dio non ha immagine; quella che può essere definita l’immagine di Dio è una creazione sublime che Dio attribuisce a Se stesso nello stesso modo in cui attribuisce la Kaaba a Se stesso chiamandola “Sua Casa”.
In alcuni tipi di letteratura, Dio viene descritto metaforicamente attraverso la poesia e le parabole, ma non può essere afferrato da immagini o sensi materiali poiché è qualcosa che va oltre i confini fisici ed ancor più oltre. Lo stesso dicasi per la realtà di profeti e santi; non a caso la descrizione del Profeta che il Corano fornisce si concentra sulla sua condotta spirituale: “E tu [o Profeta] possiedi un comportamento eccezionale”(Corano, 78: 4).
Alcuni circoli musulmani scoraggiano la rappresentazione di qualsiasi cosa viva (esseri umani e animali) come atto di rispetto del segreto divino presente in ogni creatura.
In questa luce, l’arte sacra non richiede necessariamente immagini perché il silenzio e l’invisibile possono legittimamente rappresentare uno stato contemplativo non riflettendo “idee” ma cambiando l’ambiente e permettendogli di partecipare all’armonia del regno spirituale. Di conseguenza, l’aniconismo non riduce la qualità dell’espressione ma la esalta, escludendo qualsiasi immagine che invita l’uomo alle influenze esterne. È un ornamento astratto che pone naturalmente il cuore verso le realtà dell’Invisibile.
Si può sostenere che l’arte è qualcosa di soggettivo o un’esperienza personale e che non possiamo generalizzare tali opinioni e applicarle a ogni singolo individuo. Questa è una posizione legittima e certamente questo è il caso del mondo islamico in cui una varietà di espressioni artistiche sono state costantemente presentate al pubblico. Il punto di questo articolo è cercare di fornire una risposta alla domanda se l’arte non figurativa possa ancora essere considerata una forma di arte islamica, e dovremmo rispondere affermativamente. Alcune persone potrebbero scoprire che tale arte preserva il senso primordiale del divino che non può essere usurpato da un’espressione corporea che è limitata dalla natura e più facilmente diventa un idolo tra l’uomo e la presenza invisibile di Dio. Ciò che è fondamentale è il fatto che “non c’è altra divinità che Dio” e che una tale realtà dissolve qualsiasi oggettivazione della divinità.