Opec: storica sconfitta per l’Arabia Saudita
In sede Opec è stato trovato uno storico accordo sul taglio della produzione per fronteggiare il calo dei prezzi; erano otto anni che il cartello dei produttori non raggiungeva un’intesa ma si limitava ad avallare le decisioni dell’Arabia Saudita, ora costretta ad incassare una pesantissima sconfitta.
All’annuncio, le quotazioni del greggio sono immediatamente salite: di circa l’8% il Brent, trattato sul mercato di Londra, e del 10% il Wti, che ha per riferimento il mercato Usa, oscillando entrambi intorno ai 50 $ al barile, assai lontani dai 27 toccati nel gennaio scorso.
L’accordo raggiunto a Vienna riduce a 32,5 ml di barili l’estrazione giornaliera di greggio in ambito Opec, con un taglio di 1,2 ml di barili, di cui 500mila a carico di Riyadh; a questi vanno aggiunti altri 600mila barili di riduzione per i grandi produttori fuori dal cartello, di cui 300mila a carico della Russia.
La difficile intesa si è giocata tutta sul piano politico, ed ha visto la totale sconfitta dell’Arabia Saudita a seguito del completo fallimento della guerra petrolifera che essa ha scatenato nel 2014. Da allora, Riyadh, con l’accordo sotterraneo di un fronte trasversale che vedeva insieme le grandi Major del petrolio, ambienti democratici capitanati da Hillary Clinton e spezzoni del partito repubblicano vicini al Golfo, ha spinto al massimo la propria produzione inondando di greggio i mercati già saturi per il perdurare della crisi e determinandone il crollo delle quotazioni.
I sauditi (e i loro alleati) intendevano raggiungere tre scopi: mettere fuori mercato i produttori nordamericani di shale oil ricavato da rocce bituminose con la tecnica del fracking, più costosa di quella tradizionale; colpire l’Iran, che a seguito delle sanzioni aveva dimezzato la sua produzione e che in un mercato saturo non avrebbe trovato spazi se non a prezzi rovinosi; danneggiare la Russia, amplificando l’effetto delle sanzioni con cui Washington intendeva stroncarla.
Dopo anni di guerra petrolifera e di ribassi, nessuno di questi obiettivi è stato raggiunto, anzi: i produttori dello shale oil americano hanno subito una selezione (solo nel 2015 una quarantina di aziende Usa sono fallite e molte altre nel 2016) ma i frackers più forti rimasti sul mercato hanno ridotto i costi del 40% ed aumentato la produttività dei pozzi del 48%, riuscendo a resistere a oltranza.
L’Iran, non solo è tornata ai livelli produttivi precedenti alle sanzioni, ma, in assenza di accordi Opec sulla produzione, stava continuando a incrementarli, come del resto la Russia che, dall’inizio del 2015, ha macinato record produttivi invadendo i mercati grazie all’abilità contrattuale e al crescente peso politico.
Al contrario, per Riyadh e per le petromonarchie del Golfo è stato un calvario, con i bilanci falcidiati e le riserve bruciate a ritmi insostenibili per far fronte alle spese fuori controllo di regimi corrotti e parassitari. Messi in un vicolo cieco, i sauditi sono stati costretti ad ammettere la sconfitta su tutti i fronti, accettando di venire a patti con Putin, il più grande esportatore globale in assoluto.
Ma ciò che brucia di più ai Saud è che l’Iran, a cui era stato inizialmente richiesto di tornare ai livelli produttivi del tempo delle sanzioni, abbia accettato un taglio poco più che simbolico della produzione che manterrà a 3,78 ml di barili, in pratica il livello pre sanzioni; un taglio più che compensato dalla stabilizzazione dei prezzi.
L’accordo, frutto di una lunga trattativa subita da Riyadh per limitare i danni divenuti insopportabili, stabilisce per la prima volta un’intesa fra produttori Opec e fuori Opec, segnando la fine dell’incontrastato strapotere che i sauditi esercitavano sul petrolio attraverso il controllo del cartello. Lo scopo del patto è di trovare un difficile equilibrio che stabilizzi i prezzi e li sostenga, ma non tanto da rimettere pienamente in gioco i produttori di shale, la cui presenza può essere contenuta ma non eliminata.
Tre sono gli aspetti salienti di un evento di enorme portata geopolitica: Opec cessa di essere lo strumento di proiezione del potere saudita, e ridiviene un cartello di produttori sia pure con un potere assai inferiore che in passato; la vittoria dell’Iran, che ha visto accanto a sé l’Iraq (che ha accettato un taglio di 200mila barili) e si vede riconosciuto dai suoi peggiori nemici il ruolo di potenza regionale anche in campo petrolifero; il crescente peso politico della Russia, che è dietro l’intero accordo Opec.
In nome della coincidenza d’interessi, si è infatti aperto un canale fra Mosca e Riyadh, costretta a scendere a patti dalla forza delle cose; un canale che vede la Russia in posizione di forza, e che peserà sulle vicende mediorientali presenti e future. I giorni dello strapotere dell’asse Washington-Riyadh sono assai lontani, in sede Opec lo si è appena visto.
di Salvo Ardizzone