Privacy, sotto l’occhio vigile del Grande Fratello
La privacy non c’è più. Ce l’hanno portata via un centimetro alla volta. Un po’ l’abbiamo barattata in cambio di applicazioni e servizi più o meno utili, un po’ se la sono presa senza dirci nulla. Camminando in molte delle città europee, ogni centocinquanta metri entriamo nel campo di ripresa di una telecamera senza sapere chi ci sta filmando. Se poi saliamo sulla nostra auto, ogni due minuti il nostro veicolo trasmette e condivide con i costruttori informazioni riservate importanti: stile di guida, entrata in tensione delle cinture di sicurezza, chilometri percorsi (suddivisi tra autostrade e strade urbane), posizione Gps e molto altro.
Siamo passati dalle carte di credito, che permettono di capire dove, cosa e quando abbiamo pagato e sono chiaramente rivelatrici dei nostri gusti, a strumenti e servizi del tutto insospettabili, ma che sono altrettanto capaci di raccogliere informazioni sulla nostroa privacy. Accade così che i nuovi televisori sono in grado di ascoltare le conversazioni in un qualsiasi ambiente, se le persone sbadatamente lasciano attivato il tasto del telecomando che serve a registrare i comandi vocali più sofisticati, o se si crea una falla di sicurezza nel software e qualcuno s’intrufola nell’apparecchio e lo manomette.
Il fatto è che siamo sempre connessi da diversi strumenti, che producono una quantità di dati impressionanti capaci di rivelare le nostre abitudini e i nostri orientamenti. E questi dati non vanno perduti, ma vengono archiviati. Lo stesso vale per tutte quelle informazioni che volontariamente decidiamo di condividere nei social network, tutte le fotografie che carichiamo e ogni singola parola scritta in chat. Per tacer degli smartphone, dove ogni cosa, detta o scritta, sfugge all’ambito privato per finire registrata da qualche parte. Per stessa ammissione di Larry Page, uno dei fondatori di Google, loro sanno esattamente dove ci troviamo, cosa ci piace e cosa stiamo cerchiamo. Tra Google Maps e Google Adwords hanno quello che serve per conoscere le nostre vite e intuire i nostri desideri. Lo stesso vale per gli altri players tecnologici. E questi sono solo i dati in mano alle aziende.
Ma sull’altro fronte, quello dei governi, come siamo messi? Tra il caso Snowden, le pressioni della National Sicurity Agency per ottenere dai colossi della tecnologia e del web l’autorizzazione a inserire segretamente sistemi di controllo negli oggetti che poi noi usiamo, il recentissimo caso Yahoo vale per tutti, direi che non siamo nemmeno in grado di fare una stima di quanto sia critica la situazione. La soluzione, ovviamente, non è semplicemente tecnologica, non è sufficiente scaricare una patch che impedisca attività di monitoraggio esterno o di spionaggio per evitare che l’incubo Orwelliano si avveri.
La soluzione è necessariamente una scelta politica, di cultura, un confronto che sensibilizzi tutti riguardo alla teca di vetro in cui stiamo vivendo, la necessità di una normativa dove the right to be let alone del 1890, che attribuisce all’individuo il diritto di essere lasciato solo e indisturbato, sia davvero garantito. E quelli che dicono che la privacy non è un problema, perché tanto non hanno nulla da nascondere, sappiano che è come dire che non gli interessa la libertà di espressione, perché tanto non hanno niente da dire (Snowden).
di Adelaide Conti