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Una Merkel in difficoltà al summit dell’Ue

di Salvo Ardizzone

Al summit Ue del 17 e 18 dicembre è stato scontro duro; Angela Merkel voleva replicare il solito copione: lei a dettare la linea e gli altri ad allinearsi senza fiatare, ma qualcosa si è rotto negli equilibri che facevano di lei la padrona indiscussa di Bruxelles; stavolta è stata presa di sorpresa ed è apparsa in difficoltà.

Non è accaduto perché, dopo otto anni, i Paesi abbiano finalmente compreso che le ricette tedesche facciano bene solo a Berlino e siano tossiche per gli altri; è stata la paura a spingerli a manifestare una dissidenza mostratasi apertamente per la prima volta. La paura di elettorati sempre più stanchi, nauseati e inviperiti verso politici inconcludenti che sanno solo chinare la testa, scaricando il peso della loro accondiscendenza sulla gente.

Non è stato un caso che a scontrarsi frontalmente con la Cancelliera sia stato Renzi; il nostro Premier ha fiutato il vento che tira anche in Italia ed ha compreso che continuare ad andare passivamente a rimorchio non paga. In chiara difficoltà, ha bisogno di visibilità e di qualche successo eclatante, così ha acceso le polveri sorprendendo tutti e facendo emergere i malumori di molti altri premier.

Il secco commento con cui invitava la Merkel a smettere di dire che la Germania “era il donatore di sangue dell’Europa” è stato solo un episodio colorito di un aspro scontro di battute con cui, per la prima volta intorno a quei tavoli, si osava mettere Berlino sotto accusa.

L’occasione è venuta dal no tedesco alla Garanzia Europea sui depositi, che a Renzi farebbe terribilmente comodo dopo il recente crack delle quattro banche. Si tratta del terzo pilastro dell’Unione Bancaria; Merkel l’aveva accettato quando impose le proprie condizioni per dare il via libera agli altri due (potenziamento della vigilanza centrale sulle banche e trasferimento delle perdite da fallimenti solo sui privati); adesso, portato a casa il risultato, rifiuta di condividere i rischi sui depositi.

Renzi l’ha attaccata, portandosi dietro perfino Hollande, sottolineando come Commissione, Bce ed Eurogruppo premano in tal senso, e la ha dato pure lo schiaffo di ricordare come il primo piano di salvataggio delle 4 banche italiane ora fallite sia stato bocciato da Bruxelles, malgrado fosse simile a quello approvato per salvare la tedesca Hsh Nordbank.

Da quel momento è stato un crescendo: chiusura di Berlino a una discussione sull’opportunità di prorogare le sanzioni alla Russia (che lo sono state per 6 mesi); chiusura dell’Italia quando la Merkel ha chiesto di far considerare l’Afghanistan Paese sicuro (!) per potervi rimpatriare i migranti.

A quel punto, colpendo dove sapeva di fare più male, Renzi ha attaccato frontalmente il raddoppio del North Stream, e con questo ha messo la Cancelliera in chiara difficoltà, con tutti i Paesi contro (tranne l’Olanda) e facendo insorgere persino il presidente della Ue, il polacco Donald Tusk, antico alleato di ferro della Merkel.

Il Norh Stream è il colossale gasdotto che porta il gas russo in Germania; nella più assoluta discrezione è in corso un progetto per il suo raddoppio, un’opera che farebbe della Germania l’hub energetico europeo. Ad essere coinvolti sono la Gazprom per il 50% e poi le tedesche E.On e Basf, la francese Engia, l’olandese Shell e l’austriaca Omv; se si aggiunge che è l’ex cancelliere Schroder ad essere il presidente del consorzio, è chiaro a tutti che si tratta di un business targato Berlino.

Un business che presenta molte contraddizioni politiche, per Renzi è stato facile saldare l’insofferenza di molti Paesi verso la Germania con l’isteria della “Nuova Europa” verso i rapporti con la Russia.

Intanto l’evidente doppiopesismo adottato nei confronti del South Stream, per anni portato avanti dall’Italia (e dall’Eni come capo commessa) ed affossato dal deliberato ostruzionismo di Bruxelles che ora, nelle medesime condizioni, dovrebbe dare il via libera alla Germania.

Inoltre, se le sanzioni devono rimanere per fare pressioni sulla Russia in merito all’Ucraina, che senso ha il raddoppio di un gasdotto che, bypassando l’Ucraina, rende Kiev irrilevante e più povera?

E ancora: se il pericolo, ripetuto all’ossessione nelle sedi Ue, è di concentrare le forniture energetiche su una sola rotta, quel raddoppio lo fa salire all’80% del totale. Considerazioni a cui la Cancelliera non ha saputo ribattere.

In realtà Renzi non ha alcuna intenzione di bloccare il North Stream, piuttosto vuole ottenere una compensazione di peso da far valere come un suo successo. E che la cosa sia possibile è dimostrato sia dal profilo basso tenuto da Berlino che, vedendo minacciato un affare colossale, s’è guardata bene dall’aggredire il Premier italiano, sia dall’immediato invito fattogli dalla Merkel per discutere la cosa a quattr’occhi.

Con tutta probabilità finirà con un accordo: Renzi avrà un suo successo da sbandierare come al solito; Eni e Saipem avranno una corposa fetta di torta; il gas russo continuerà ad arrivare sempre più abbondante in Europa in barba alle sanzioni agitate dalla “Vecchia Europa” (e da Washington che l’aizza); l’Ucraina sarà sempre più sola, con i suoi disastri e i suoi oligarchi.

Ultima notazione: dinanzi al succedersi delle crisi, una Ue fondata e fin’ora tenuta insieme dalla convenienza si spappola sempre di più; anche i tradizionali schemi di forza si stanno frantumando dinanzi al cozzare dei singoli interessi, e la Germani non è più sicura di poter imporre a prescindere il proprio tornaconto.

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