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Elezioni in Spagna: vince Rajoy, ma perde la maggioranza assoluta

di Salvo Ardizzone

Il voto di domenica in Spagna ha frantumato la diarchia che alternava al potere Popolari e Socialisti dalla fine della dittatura franchista; per quarant’anni Pp e Psoe si sono strettamente intrecciati con l’establishment economico, alimentando un’enorme corruzione e commistioni d’interessi che fanno impallidire quelle cui siamo avvezzi in Italia.

I Popolari di Mariano Rajoy si sono confermati primo partito con il 28,7% e 123 seggi, ma hanno pagato un prezzo altissimo: hanno perso un terzo dei parlamentari e la maggioranza assoluta di cui godevano è uno sbiadito ricordo. Scontano l’aver trasformato la Spagna in un protettorato tedesco, l’aver scaricato i costi di una crisi durissima sulle fasce più deboli applicando alla lettera le ricette di Berlino, l’aver fatto crescere a livelli astronomici diseguaglianze e disoccupazione.

Secondo è arrivato il Psoe di Pedro Sanchez, che ha ottenuto il peggior risultato di sempre ma, con il 22,1% e 90 seggi, è riuscito ad evitare l’umiliazione di vedersi superato anche da Podemos arrivato terzo. I Socialisti hanno pagato l’incapacità di un’opposizione vera, che prendesse di petto i nodi politici ed economici che affliggevano la società spagnola, e le troppe commistioni e compromessi.

Come detto, ottimo è stato il risultato di Podemos. Vincendo una crisi di fiducia conseguente al fallimento di Syriza in Grecia, nelle ultime settimane Pablo Iglesias ha saputo trascinare il suo movimento ad una crescita che l’ha portato a ridosso dei Socialisti; con il 20,6% dei voti manda alle Cortes 69 deputati e si mette al centro dell’attenzione mediatica.

Quarto arriva Ciudadanos di Albert Rivera, il partito sostenitore del liberalismo più sfrenato, espressione del fronte delle imprese; creato a tavolino per fare da contraltare a Podemos, dopo alcuni exploit nei sondaggi si è sgonfiato nelle ultime settimane. Raccoglie comunque il 13,9% e 40 seggi, sottratti in larga parte ai Popolari.

Quella che si delinea adesso è una situazione completamente nuova per la Spagna: i Popolari non hanno una maggioranza; anche se Ciudadanos li appoggiasse, non raggiungerebbero comunque i 176 voti per governare.

Una “grosse-koalition” alla tedesca fra Pp e Psoe sembra già esclusa per la netta chiusura dei Socialisti, che hanno compreso che un sostegno a Rajoy e le sue politiche sarebbe il loro suicidio.

Anche un’alleanza fra Podemos e Psoe si fermerebbe lontana dalla maggioranza; solo coinvolgendo i partiti separatisti catalani e baschi potrebbero riuscirci, ma si assoggetterebbero al ricatto di quelle formazioni marginali ma indispensabili.

Pablo Iglesias, forte del suo successo, ha proposto una riforma costituzionale e un fronte di tutti contro Mariano Rajoy e le sue politiche, in nome di una rinascita della Spagna. Per lui, nuove elezioni non sarebbero un problema: con tutta probabilità, il crescente disgusto per l’establishment gli assicurerebbe nuovi consensi, mentre è assai probabile che li perderebbe Ciudadanos, restituendoli in buona parte ai Popolari.

Adesso la palla è in mano a Felipe VI°, che sarà chiamato a svolgere una mediazione difficilissima con pochi poteri: il 13 gennaio si riunirà il Parlamento e fra il 25 e il 29 gennaio dovrà dare l’incarico per il Governo.

La Ue è rimasta tramortita, affidando al breve commento di una portavoce i complimenti per il primo posto di Rajoy e gli auspici per un Esecutivo stabile. Il punto è che la Merkel, con le scorse elezioni polacche, ha già perso il suo scudiero orientale; se dovesse perdere anche la Spagna il suo potere in Europa s’incrinerebbe proprio ora che si trova sotto l’attacco concentrico di molti Stati sempre più insoddisfatti del suo strapotere.

Al di là di ogni altra considerazione, ciò che il Popolo spagnolo ha espresso è la voglia di cambiamento di un Sistema bloccato. Malgrado nessuno dei partiti abbia chiari nel suo programma i meccanismi di sudditanza, politica ed economica, a cui è assoggettata l’Europa intera (neanche Podemos), è pur sempre una voglia rottura di schemi vecchi quella che emerge.

C’è da augurarsi che una simile spinta non venga dirottata strumentalmente su sterili battaglie di facciata, come troppe volte abbiamo visto con Syriza e, prima, con i 5 Stelle.

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