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Servivano 36 anni di crimini contro il popolo iraniano per raggiungere questo accordo?

Mojtaba Ahmadi, scienziato iraniano assassinato da Israele
Mojtaba Ahmadi, scienziato iraniano assassinato da Israele

di Salvo Ardizzone

A Vienna è stato raggiunto l’accordo sul nucleare iraniano. Solo il tempo potrà mostrare appieno l’enorme portata di un evento destinato a ribaltare equilibri, economia e geopolitica di una regione nevralgica e immensa. Sono stati necessari negoziati lunghi e durissimi, su cui hanno pesato enormemente le influenze di chi quell’accordo lo ha ostacolato con tutti i mezzi; solo l’ultimo round di negoziati, fra accelerazioni e brusche frenate, è durato ininterrottamente per sedici giorni.

In realtà, il programma nucleare iraniano è sempre stato solo un pretesto, la motivazione ufficiale per colpire l’Iran, per frenarne l’economia ed isolarlo politicamente, per contrastare il suo ruolo naturale di potenza regionale. Questo era in ballo, il resto era solo contorno: a Vienna s’è consumato lo scontro fra chi voleva mantenere lo status quo nell’area mediorientale, proteggendo privilegi e immense rendite di posizione, e chi voleva reclamare il posto che gli veniva negato.

Sia come sia, l’intesa ora c’è, anche se dovrà essere ratificata formalmente dal Majlis iraniano e dal Congresso Usa, che ha 60 giorni per approvarlo o respingerlo; Obama, nell’annunciare l’accordo ha scandito che porrà il veto presidenziale a qualsiasi legge che si opponesse alla sua attuazione.

I dettagli tecnici, su cui gli esperti hanno dibattuto sino all’ultimo, non sono ancora tutti noti mentre scriviamo, ma sono tanti e così complessi da occupare quasi un centinaio di pagine fitte. Il succo è che l’Iran accetta di sottoporsi ad un regime di ispezioni dell’Aiea (l’Agenzia per il nucleare dell’Onu) per dimostrare che il suo programma ha solo finalità civili e non intende dotarsi di un arsenale nucleare. Al contempo, accetta anche di ridimensionare le sue infrastrutture per l’arricchimento dell’uranio e di disfarsi della massima parte delle scorte già parzialmente arricchite.

A fronte di questo, non appena l’accordo andrà a regime (si calcola entro fine anno), le sanzioni economiche che Usa, Ue ed Onu avevano comminato cadranno, le ingenti attività di Teheran congelate presso le banche di tutto il mondo (si parla di oltre 90 Mld di $) verranno sbloccate, petrolio e gas potranno essere esportati liberamente ed il mercato iraniano si aprirà al mondo.

Solo sugli acquisiti di armi sofisticate e di alcune componenti missilistiche rimarranno limitazioni, su cui si è dibattuto sino all’ultimo, ma sono dettagli secondari che nulla contano dinanzi alle conseguenze dell’evento.

Esse sono sia economiche che politiche: l’Iran è un Paese di quasi 80 milioni di abitanti; ha storia, un’antica cultura e un buon livello medio di istruzione e, soprattutto, ha le seconde riserve mondiali di gas e le quarte di petrolio; inoltre, non è un petrostato dipendente in tutto e per tutto dalle esportazioni energetiche, ma ha un’economia strutturata, zavorrata da tanti anni di sanzioni ma efficiente: in breve, è la vera potenza regionale dell’area.

La fine dei vincoli a cui è stato sottoposto determinerebbe da subito un’impennata delle attività: sono moltissime le società che già fanno la fila per stipulare contratti di petrolio e gas; ci sono investimenti enormi per rinnovare le infrastrutture (si calcola circa 100 Mld di $) e per sfruttare le altre materie prime di cui è ricco: in poche parole, l’Iran diverrebbe un volano economico per tutta la regione ed entrerebbe a pieno titolo (e peso) nel gioco con cui Pechino e Mosca stanno ridisegnando gli equilibri della piattaforma eurasiatica, espellendo l’influenza di Washington.

E qui entriamo nelle conseguenze politiche: rientrare ufficialmente nell’agone diplomatico internazionale, avrebbe conseguenze immediate sulle crisi che insanguinano in Medio Oriente: in Iraq e in Siria, il suo peso potrebbe dispiegarsi liberamente, avviando a soluzione conflitti che sin’ora nessuno aveva interesse vero a far cessare. Il disegno di Obama era questo: sdoganare Teheran e lasciare che stabilizzasse la regione, permettendo agli Usa di districarsi dall’area per concentrarsi finalmente sul Pacifico e nel contenimento della sfida cinese.

Un progetto che è un incubo per sauditi e israeliani, che non a caso hanno fatto di tutto per osteggiarlo con tutto l’apparato di lobby e centri di potere che controllano. Tel Aviv e Riyadh vedrebbero frantumarsi l’architettura di potere che ha permesso loro di spadroneggiare nell’area: l’una godendo di una sostanziale impunità per i sistematici crimini commessi, l’altra mantenendo un sistema che ha permesso alla casa reale di perpetuare il potere assoluto sul regno e sull’immensa rendita del petrolio, di mantenere la presa sui propri satelliti del Golfo, di ambire all’egemonia sulla regione.

La Resistenza contro Israele avrebbe un attore potente e riconosciuto a livello internazionale a cui rivolgersi e che la sosterrebbe a tutti i livelli contro i crimini del regime sionista; al contempo, le bande di terroristi prezzolati che insanguinano e destabilizzano la regione avrebbero un avversario (a dire il vero, è già l’unico serio che hanno) che libero da ostacoli li spazzerebbe via, ponendo fine alla sanguinosa sceneggiata del “califfato”.

Sarebbe il tramonto dei disegni sauditi, che già vedono i propri alleati riposizionarsi (sono state immediate le congratulazioni rivolte a Teheran dagli Emirati) e il proprio ruolo nell’area ridimensionarsi enormemente. Anche per quanto riguarda il petrolio, l’Iran ha già gettato il guanto all’Opec dominato da Riyadh, rivendicando la propria antica quota occupata dagli altri; in caso contrario venderà egualmente il proprio greggio, facendone cadere ancora il prezzo (si calcola che entro un anno potrebbe aumentare la produzione di almeno un ml di barili, e a seguire di altri due). L’effetto s’è già visto sui mercati, con le quotazioni ai minimi da tre mesi.

È tutta una regione che si ridisegna, una geopolitica che muta: alleanze, riferimenti, partnership destinate ad essere sovvertite da nuovi equilibri; posizioni di potere destinate a crollare o comunque ad essere drasticamente ridimensionate; crisi sanguinose, alimentate e mantenute in vita dall’esterno, che si spegneranno e regimi che si sfalderanno, privati degli aiuti di chi li usava.

Era tempo che tutto ciò avvenisse, archiviando pagine buie, “guerre imposte” e 36 anni di crimini contro il popolo iraniano.

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