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Marò: l’Italia avvia la procedura di arbitrato internazionale

di Redazione

Dopo tre anni e mezzo d’inconcludenti trattative e stucchevoli rinvii, l’Italia ha finalmente avviato la procedura di arbitrato internazionale per portare dinanzi a un giudice terzo il caso dei marò accusati dall’India d’aver ucciso due pescatori al largo delle coste del Kerala nel febbraio del 2012.

Roma ha cercato inutilmente di risolvere per via diplomatica una vicenda impostata fin dall’inizio male e gestita peggio, che per Delhi è divenuta assai più d’un caso giudiziario. Adesso, dopo aver ritirato la proposta d’accordo avanzata un anno fa e rimasta senza riscontro da parte delle autorità indiane, si apre una contrapposizione che è probabilmente quello che il Governo di Narendra Modi aspettava, per evitare di dover prendere una decisione su un caso spinoso gestito dall’India in modo tutt’altro che lineare, un caso che il Premier stesso aveva cavalcato alle scorse elezioni.

L’Italia ha invocato le regole della Convenzione Onu sul diritto del mare e, con tutta probabilità, della vicenda si occuperà la Corte permanente di arbitrato dell’Aja. Il nocciolo della vicenda è che Roma rifiuta ora la giurisdizione indiana in quanto i fatti sarebbero avvenuti in acque internazionali e, comunque, secondo le normative in materia, i due marò erano militari coperti da immunità in quanto svolgevano la loro funzione antipirateria per conto del proprio Paese, e dunque andrebbero processati in Italia.

Al momento Massimiliano La Torre è in Italia in convalescenza e, verosimilmente, a luglio, al termine del permesso, non sarà fatto rientrare in India; resta delicata la posizione di Salvatore Girone che risiede in libertà provvisoria presso l’Ambasciata italiana a Delhi.

L’esito di questo abominevole pasticcio, frutto della superficialità e contraddittorietà con cui è stato gestito negli anni dai vari Governi, è ancora tutto da definire, come pure è un’incognita la reazione del Governo indiano alla sfida tardiva dell’arbitrato; resta la pessima figura di un Paese che s’è mostrato debole quanto inaffidabile, in ogni caso indegno d’una Nazione che voglia chiamarsi tale.

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