Mattei la Pecora Nera… una storia da ricordare
Il 29 aprile del 1906, nasceva ad Acqualagna Enrico Mattei, dirigente pubblico italiano, politico e imprenditore. Nel 1953, dopo lo smantellamento dell’Agip, Enrico Matteri fondò l’Eni.
Enrico Mattei, una storia da ricordare
Di recente ci è capitato fra le mani un vecchio libro su Mattei e la sua avventura: Mattei la Pecora Nera, edito dalla SugarCo nel lontano ’87. È stato scritto da un giornalista, Italo Pietra, che oltre aver diretto il suo giornale, Il Giorno, l’ha conosciuto dai tempi della Guerra. Malgrado la familiarità fra i due, è un libro tutt’altro che agiografico, ma si differenzia dai molti altri scritti sul personaggio, perché accanto ai fatti che espone asciutto, scava nella persona senza fare sconti alle troppe leggende create sia dai detrattori che dai tanti apologeti, interessati ad arruolarlo sotto le proprie bandiere.
Certo, la sua pare una storia fatta apposta per essere romanzata. Da operaio a industriale di successo, frequentatore degli intellettuali della sinistra cattolica, di cui, intelligenza grezza ma lucidissima, bevve le idee facendole proprie. Dopo l’8 settembre, fu uno dei capi della Resistenza “bianca”. Quel bagaglio di conoscenze e di rapporti, e le sue riconosciute capacità di industriale, nell’immediato dopoguerra lo portarono a capo dell’Agip, che la politica d’allora voleva liquidare, vendendolo a quegli industriali che non aspettavano altro che fare l’affare.
Il sogno di Mattei
Qui nacque il sogno di Mattei, perseguito con tenacia visionaria. Un sogno controcorrente ma calato nei tempi, che con semplicità dava una lettura diversa, diremmo opposta, al conformismo mediocre e interessato della politica del tempo. L’Italia usciva distrutta dalla Guerra; aveva un disperato bisogno di energia e di lavoro. E questo lui voleva darle. Da quel momento cominciò una lotta, combattuta alle volte con metodi spregiudicati e poco ortodossi, certo, ma gli unici che potessero garantire i risultati che alla fine vennero con la scoperta del metano e la sua distribuzione. Ma non si fermò a questo.
Come detto, era un’intelligenza lucida e aveva compreso parecchie cose. L’energia era il motore della società che emergeva in quegli anni; i Popoli tenuti soggetti dalle Potenze coloniali avrebbero presto rotto quelle catene e l’Italia, che Potenza coloniale non era più, poteva essere in prima fila ad offrire tecnologie e opportunità di lavoro in cambio delle risorse che essi avevano in abbondanza. Lo vedeva come un equo scambio alla pari con il fine d’uno sviluppo comune, e usando l’Eni, creato nel ’53, diede tutto se stesso a questo scopo.
Mattei l’eretico
Sembrerebbe un fine ragionevole, ma il mondo era ben diverso e una simile teoria suonava eretica e pericolosa alle orecchie di chi se l’era spartito e realizzava utili immensi rapinando quelle risorse e lasciando briciole. Mattei mirava invece alla creazione di lavoro nei luoghi ove impiantava attività, sia che fosse in Italia che all’estero; e le attività, poiché creavano ricchezza, dovevano lasciarne un’equa quantità sui territori da cui provenivano; a motivo di questa sua visione, puntava alla collaborazione e non allo sfruttamento dei Paesi e dei Popoli.
Esempi chiari sono stati i suoi rapporti intensi con l’Algeria e il Marocco, che stavano uscendo dall’esperienza coloniale francese, e con l’Iran, dove inaugurò la formula divenuta famosa del 75/25, che lasciando al Paese ove operava la maggior parte di utile, fece urlare di rabbia i concorrenti. Di qui lo scontro frontale e la lotta con le “7 Sorelle”, punta di lancia della visione imperialistica dell’economia e dello sfruttamento delle materie prime nei Paesi del Terzo Mondo. Ma non solo, respingeva anche l’ottuso scontro fra i blocchi (allora si era in piena Guerra fredda), collaborando con l’Urss di Kruscev, con lo scambio petrolio – manufatti industriali. Il suo programma, insomma, era la costruzione di una crescita comune.
Uno Stato al servizio del popolo
Inoltre, per lui lo Stato (ma con la “S” maiuscola) doveva essere inteso al servizio di un Popolo e non degli interessi di pochi. Per questo doveva svolgere una funzione d’indirizzo politico e strategico dell’economia, oltre che di controllo, a tutela degli interessi della collettività in nome di cui agiva. Riteneva che il fine ultimo dell’economia, non potesse essere semplicemente la massimizzazione del profitto fine a se stessa, quanto lo sviluppo dei territori e delle popolazioni. Se lo Stato falliva in questo, falliva in una sua funzione primaria, perché non aveva saputo o voluto mettere in campo un progetto chiaro e un efficace controllo affinché non si deviasse da quei fini.
La morte, provvidenziale per i suoi nemici, lo fermò nell’ottobre del 1962 sulla soglia del successo definitivo, ma la sua resta una visione d’impressionante attualità, che dovrebbe spingerci a riflessioni serie su un modello di sviluppo coerente con le aspirazioni, le potenzialità e le risorse fisiche e intellettuali dei territori, su un’area quanto più omogenea, accomunata dalla condivisione di valori e modelli culturali. Un’area mediterranea, ove le popolazioni rivierasche sviluppino sinergie e trovino una via comune, da opporre ad una globalizzazione senz’anima imposta dall’esterno, che distrugge le identità e le radici stesse dei popoli.
di Salvo Ardizzone