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Primo Maggio: tra crisi e retorica

Negli ultimi anni, il primo maggio era diventato un giorno come tanti altri, utile ad organizzare concerti e scampagnate fuori con gli amici, dimenticando, come ormai avviene purtroppo anche per le feste religiose, il vero motivo del perché sul calendario questa giornata viene segnata in rosso.

Nel vecchio continente, chi più chi meno, ha a che fare con una disoccupazione dilagante e con veri e propri principi di nuova schiavitù, grazie ad un oceano di persone impiegate con contratti precari, con tante ore di lavoro e pochi soldi in busta paga.

Ecco perché, da Madrid ad Atene, da Torino ad Instanbul, si è tornati per le strade non per concertoni, ma per rivendicare nuovi diritti e spesso per dire un secco NO alle politiche di austerity imposte dalla Troika.

In Italia, la piazza di Roma era abbastanza tranquilla, abbindolata dalle note del concerto di piazza San Giovanni in Laterano, oltre che dalla tradizionale retorica ideologica; ma a Torino e Napoli, la situazione era ben diversa: nel capoluogo piemontese, ci sono stati alcuni scontri ed in molti hanno esibito striscioni inneggianti a Luigi Preiti, il disoccupato calabrese che, preso dalla foga della disperazione, ha sparato diversi colpi davanti palazzo Chigi durante il giuramento del governo Letta, colpendo due carabinieri; a Napoli invece, presi di mira i sindacati, visto che il concerto che era stato organizzato a Bagnoli, nell’area dove è stata data alle fiamme la città della Scienza, è stato interrotto quando un gruppo di attivisti ha fischiato gli stessi sindacalisti e voleva esprimere le proprie ragioni sul palco. Sono seguiti scontri con la polizia ed un corteo nel quartiere di Bagnoli, in cui oltre al lavoro si rivendicava il diritto della zona ad avere un piano sano di riqualificazione urbana dopo la dismissione di un complesso industriale chimico.

Piazze calde, e non poteva essere altrimenti, anche a Madrid ed Atene, capitali dei due Stati simbolo del cappio al collo dell’economia stretto dalla Troika europea, ed emblema dei danni che la massiccia austerity sta creando in Spagna e Grecia.

Non ci sono stati i tanto temuti scontri, ma non sono mancati momenti di tensione e slogan molto forti sulla crisi occupazionale in corso nei rispettivi Paesi; in piazza anche a Parigi, dove è stata molto applaudita Marine Le Pen, leader della destra francese, in grande crescita nei sondaggi, grazie alla crisi che inizia a farsi sentire anche tra i transalpini, molti dei quali convinti come l’attuale dibattito sulle nozze gay sia un deterrente per non parlare dell’economia sempre più bersaglio della finanza internazionale e non immune dalla “scure tedesca”.

In Europa, è stata Istanbul la piazza in cui si sono concentrate più tensioni; in particolare, nella centralissima piazza Taksim, ufficialmente chiusa per lavori di restauro, si sono radunati tanti manifestanti, in barba al divieto di manifestazione vigente nella metropoli turca: da quel momento in poi, è stato un susseguirsi di cariche della polizia e di una vera e propria guerriglia urbana, che ha provocato anche diversi feriti. Il primo maggio, è stato dunque particolarmente sentito anche in Turchia, sia perché la disoccupazione è adesso a due cifre, sia perché per anni il primo maggio era vietato dopo gli scontri che nel 1977, in occasione di tale festività, causavano una trentina di vittime e quindi il divieto delle autorità di radunarsi in piazza Taksim era stato avvertito come un vero e proprio ritorno al passato.

Scontri anche in alcune piazze statunitensi, mentre ha avuto un sapore particolare la festa del lavoro in Bangladesh, la cui capitale, Dacca, è stata teatro nei giorni scorsi di uno degli episodi più tragici tra le morti bianche, a causa del crollo di uno stabile in cui lavoravano diverse centinaia di persone con paghe molto basse ed in condizioni poco umane.

In tutto il mondo quindi, la perdita progressiva del lavoro e dei posti tutelati non precari, ha fatto riacquistare un minimo di senso e dignità alla festa del primo maggio, che ha assunto significati importanti, ispirati ad un ritorno all’attenzione sulle condizioni in cui versano milioni di lavoratori; anche il Papa, nel corso dell’udienza generale di piazza San Pietro, ha ricordato le nuove forme di schiavitù e le insidie di una società in cui l’inseguimento del profitto spesso genera condizioni estreme di povertà e miseria, prendendo ad esempio proprio la tragedia di Dacca.

Il mondo si è quindi, in diverse parti, fermato per ricordare e ricordarsi che esiste un problema lavoro sotto diverse sfaccettature e che a tale problema bisogna dare immediata risposta, al fine di non condannare le future generazioni.

di Mauro Indelicato

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