A 28 anni dalla fine della Guerra Fredda, resta un’Europa suddita di Washington
Guerra Fredda – 28 anni fa, il 3 ottobre 1990, a dieci mesi dal crollo del Muro di Berlino, la Germania si riunificava; fu una svolta epocale che, nel giro di un anno, con l’implosione dell’Urss, era destinata a riscrivere le carte geografiche e avrebbe sancito la fine di un’epoca. Sono stati versati fiumi d’inchiostro per descrivere quei fatti, e dopo 28 anni i documenti de-secretati a Washington, Mosca e Berlino non fanno che avvalorare le analisi fatte ed evidenziare gli errori alla radice di molte crisi odierne e dell’assurda impostazione data alla Ue.
Senza voler rifare la storia di quei giorni, basta ricordare che l’Impero sovietico era in crisi profonda, schiacciato da una situazione finanziaria disastrosa e da una pressione sociale ormai insostenibile. Di quegli eventi, molto fu frutto dell’implosione di un blocco che collassò sempre più rapidamente; è il caso dell’improvviso crollo del Muro, il simbolo di un’epoca intera che aveva paralizzato il mondo entro due blocchi.
Dopo essere rimasta ferma per decenni, in quei frangenti la Storia prese improvvisamente a correre; Helmut Kohl, l’allora Cancelliere della Repubblica Federale Tedesca, intuì subito l’irripetibile opportunità di riunificare la Germania. Quell’unità non la voleva nessuno, né a Mosca, né a Washington e tanto meno in Europa; Kohl seppe muoversi rapidamente, tallonando gli eventi che frastornavano le altre Cancellerie.
Tacitò quanto rimaneva dell’Impero sovietico con i massicci aiuti finanziari di cui aveva disperatamente bisogno; rassicurò Washington e fece di Bush senior il suo mediatore, salvo scavalcarlo quando lo ritenne necessario; ottenuti questi consensi, seppe trattare con i Paesi europei accettando di sacrificare il Marco e la sua forza, accettando una moneta unica, l’Euro. Centrò così il suo obiettivo rendendo una la Germania, ma quella riunificazione, allora e per lungo tempo pagata a caro prezzo dai tedeschi, per come nacque fu alla base di molte storture e crisi successive.
La prima vittima fu il progetto europeo: la paura di una Germania unita talmente forte da far diventare l’Europa tedesca, uccise il sogno di un vero soggetto politico che era in fase di avanzata discussione. Focalizzati sulla necessità di legare Berlino, i leader europei partorirono un mostro che poco o nulla aveva di politico, ma che legava i Paesi solo negli ambiti economici e commerciali, dando i poteri a un pugno di superburocrati. Non solo: la stessa moneta unica con cui s’intendeva imbrigliare la Germania era monca, priva di una vera Banca Centrale nella pienezza dei suoi poteri.
Una tale costruzione fu un regalo al Sistema tedesco, che senza essere integrato (e limitato) in un quadro politico complessivo, nel tempo fece valere il peso del suo potere economico, squilibrando le Istituzioni comunitarie a suo favore. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, con la Germania che detta le regole di un Sistema largamente incompiuto a propria convenienza.
Ma c’è un altro frutto avvelenato che continua a intossicare il Continente: allora Gorbaciov chiese al Segretario di Stato Baker e poi a Kohl garanzie che la Nato non venisse ampliata, e sia l’uno che l’altro diedero le più ampie rassicurazioni che la stessa Ddr, anche divenuta parte della Germania, sarebbe rimasta fuori dall’Alleanza.
Come andò poi è a tutti noto: Kohl e gli Usa si rimangiarono la promessa e il leader sovietico si piegò in cambio di quel denaro necessario a puntellare l’Urss ormai agonizzante. Fin qui può esserci una logica, vista l’assurdità di un Paese per metà nella Nato e per metà in un Patto di Varsavia che in breve sarebbe scomparso. Ciò che è semplicemente privo di qualsiasi giustificazione e indifendibile, è la corsa del ventennio successivo a estendere la Nato fino ai Paesi Baltici, alle frontiere settentrionali della Russia, ed ora si progetta concretamente anche all’Ucraina.
Un espansionismo dettato esclusivamente dalla precisa volontà di Washington di dilatare la propria egemonia sul Continente e soprattutto di umiliare e stringere la Russia, togliendole ogni spazio vitale. Non ci si può meravigliare se nel 2014 Putin abbia reagito riprendendosi la Crimea.
Ciò che rimane incomprensibile, a 28 anni dalla fine della Guerra Fredda, è come l’Europa, in questo unica area rimasta al mondo, continui ad accettare passivamente una totale sudditanza a Washington, continui ad essere disposta a pagare un prezzo altissimo per essa, non solo in termini di mancanza di sovranità (che sarebbe enorme per Stati degni di tale nome) ma anche economici.
di Salvo Ardizzone