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Dal Medio Oriente al Mediterraneo continua la campagna terroristica

Medio Oriente – A 48 ore dal massacro di Tunisi, sono ancora molti i punti oscuri; il bilancio ufficiale delle vittime parla di 23 morti e 44 feriti, ma si contano ancora alcuni dispersi, pare cinque, e il prezzo di sangue dell’attentato potrebbe salire ancora.

Fra di loro, per lo più turisti stranieri, ci sono 4 morti e 11 feriti di nazionalità italiana; facevano tutti parte delle comitive sbarcati dalla Fascinosa, una nave della Costa Crociere che nella notte fra mercoledì e giovedì è salpata dal porto di Tunisi, seguita dall’altra, la Msc Splendida; insieme avevano portato in Tunisia quasi 7mila croceristi, in maggioranza italiani, diversi dei quali erano andati in visita al museo teatro della tragedia.

Da quanto fin’ora ricostruito, intorno alle 11.30 di mercoledì, tre uomini vestiti con le divise della polizia e pesanti borsoni zeppi di granate e munizioni, hanno attaccato il Parlamento che era riunito in seduta proprio per discutere la legge antiterrorismo voluta dal Premier Essebsi. Respinti dalle guardie sono corsi al Bardo, un celebre museo sempre affollato che dista una manciata di metri.

Hanno subito aperto il fuoco sui pullman che scaricavano i turisti e poi hanno fatto irruzione all’interno, prendendo di mira le centinaia di visitatori presenti nelle sale. Dopo circa due ore sono intervenute le forze di sicurezza tunisine e per quasi venti minuti c’è stata una battaglia che s’è conclusa con l’eliminazione di due dei terroristi, il ferimento e la cattura del terzo e la liberazione degli ostaggi.

Da quanto si è appreso, Jabeur Khachnaoui e Yassine Laabidi, i due uccisi, provenivano dalla zona di Kasserine, un’area al confine con l’Algeria infestata da formazioni terroriste. Khachnaoui, sparito dalla sua casa da tre mesi, recentemente aveva contattato la famiglia utilizzando una scheda telefonica irachena. Rivendicazioni ufficiali attendibili ancora non ce ne sono: alcuni sostengono che dietro potrebbe esserci Ansar al-Sharia, che dalla Libia e dal Sahara sta estendendo i suoi tentacoli sulla Tunisia; altri pensano a Obka bib Nafi, un’altra formazione vicina ad Al-Qaeda nel Maghreb che proprio nelle montagne dietro Kasserine ha le sue basi; altri ancora ritengono che il gruppo abbia risposto all’appello dell’Isis di attaccare la Tunisia; forse uno dei gruppi ha voluto dichiarare così la sua vicinanza al “califfo”.

Qualcosa si saprà forse dagli interrogatori degli arrestati: oltre al ferito componente del commando, la polizia ha eseguito altri 8 arresti di elementi ritenuti fiancheggiatori, ma è troppo presto per saper qualcosa di fondato.

Dopo le turbolenze della “Primavera” di quattro anni fa, la Tunisia ha restaurato una parvenza di democrazia che, nelle ultime elezioni, ha visto prevalere Nidaa Tounes col suo vecchio leader Caid Essebsi, riciclando molti esponenti del vecchio regime di Ben Alì. Il suo problema resta la pesante crisi economica che lascia nella povertà e nel disagio vasta parte della popolazione; è questa mancanza di speranze e prospettive che rende fragile il Paese e ha spinto migliaia di giovani (ufficialmente almeno 3mila, secondo altre stime assai di più) a partire per arruolarsi sotto le bandiere dell’Isis o di Al-Nusra in Siria e in Iraq.

La presenza di cellule terroristiche in territorio tunisino è antica: il Sahara e le montagne della lunga frontiera algerina sono stati teatri di continui scontri sanguinosi fra miliziani e le forze di sicurezza. Da ultimo, il caos libico ha permesso un continuo passaggio di armi e uomini che vanno in Libia ad addestrarsi e tornano per entrare nelle reti del terrorismo.

Ciò che stride in quest’attentato, e segna un netto cambio di strategia con il passato, sono gli obiettivi: Tunisi era stata evitata negli attacchi precedenti che, pare per un tacito accordo, avevano avuto per teatro aree assai più remote, distanti dall’attenzione dei media. Inoltre, se il Parlamento è un obiettivo doppiamente comprensibile, per il simbolo e per la legge antiterrorismo che vi si discuteva, quella che è una vera frattura con il passato è l’attacco ai turisti.

In Tunisia il turismo è percepito universalmente come la prima risorsa e, prima di adesso, anche le cellule del terrore erano state ben attente a non toccarlo. Un simile attacco, per le sue devastanti conseguenze, può avere effetti destabilizzanti per la gracile economia tunisina e per l’intera Nazione. Ed è evidentemente questo l’obiettivo del massacro e di chi l’ha organizzato.

La società tunisina ne è ben consapevole ed è per questo che, da subito, tutte le parti politiche, dai laici agli islamici moderati, nessuna esclusa, sono scese in piazza per condannare senza reticenze quell’atto sanguinoso quanto bestiale, che mira alla frantumazione della società e che nulla, ripetiamo nulla, ha menomamente a che spartire con sedicenti motivazioni religiose. L’attacco è stato percepito come un colpo al Paese, e l’identificazione di un nemico comune sembra esser servito a compattarlo, superando ruggini antiche e divisioni come è già accaduto altrove (vedi in Iraq dopo la spallata dell’Isis).

A parte il solito sciocchezzaio che si leva da politici italiani la cui preparazione è inesistente, in Tunisia il nostro Paese ha molti interessi rilevanti e anche, non dimentichiamolo, responsabilità. Oltre alla vicinanza e ai molteplici rapporti, dalla Tunisia passa il gasdotto che ci porta il gas algerino dai tempi di Mattei; inoltre le sue coste sarebbero essenziali se si volesse finalmente inaugurare una politica seria di contrasto al traffico di esseri umani che parte dal pantano libico. E poi, se lo vogliamo ricordare, quel Ben Alì che ha depredato per decenni la Tunisia è stato messo al suo posto da un’operazione dei “Servizi” italiani, che l’hanno fatto succedere a Bourghiba nell’’87.

Anche se non speriamo in un’azione sensata dell’Italia (sarebbe una novità), sarebbe doveroso interessarsi di un piccolo Paese, ancora una volta nel mirino di chi continua a spargere sangue per destabilizzare il mondo.

di Salvo Ardizzone

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