Yemen: come nasce la forza missilistica della Resistenza
All’Onu l’Iran ha smontato le accuse Usa d’aver fornito missili alla Resistenza in Yemen; in un documento la missione iraniana ha demolito le false affermazioni dell’ambasciatrice degli Stati Uniti alle Nazioni Unite, ricostruendo la tragedia yemenita.
I missili balistici lanciati dalle forze Houthi sono divenuti un pericolo crescente per la coalizione guidata dai sauditi, lo stesso territorio dell’Arabia Saudita è sotto tiro come ritorsione agli attacchi aerei indiscriminati sui civili in Yemen. Il mese scorso ha suscitato particolare scalpore il lancio di un missile sull’aeroporto di Riyadh costretto per questo alla chiusura; un episodio che ha spinto l’ambasciatrice Nikki Haley ad accusare l’Iran d’aver fornito l’arma. In risposta, la missione iraniana alle Nazioni Unite ha pubblicato sul suo sito un lungo documento, ripreso dalla Fars News Agency, in cui ribatte alle accuse, mettendo in evidenza fatti “scomodi” che confutano le verità di comodo di Washington.
Il documento inizia inquadrando il reale contesto: Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti nel marzo del 2015 hanno aggredito lo Yemen alla testa di una coalizione da loro creata; negli ultimi due anni, accanto all’invasione di terra hanno condotto almeno 3158 attacchi aerei su obiettivi non militari come scuole, ospedali, fabbriche, infrastrutture e altri obiettivi civili come abitazioni e moschee, causando vittime a migliaia. Al contempo Riyadh ha imposto un blocco navale e aereo che ha condotto lo Yemen nel baratro della peggiore emergenza umanitaria dei tempi moderni, condannando oltre 17 milioni di yemeniti alla denutrizione e alla fame.
La guerra e il blocco hanno determinato spaventose condizioni igienico sanitarie in un Paese già fragile, portando alla peggiore epidemia di colera della storia con oltre un milione di casi accertati e migliaia di morti; ad aggravare la situazione, ora le organizzazioni umanitarie che rimangono nel Paese hanno avvertito di un’epidemia di difterite.
In questa catastrofe c’è la diretta complicità degli Usa, a dimostrarlo basta citare i seguenti fatti: nel 2016 l’Arabia Saudita ha aumentato l’acquisto di armamenti del 212%, principalmente dagli Usa, divenendo il più grande acquirente mondiale di armi. Nel maggio scorso a Riyadh Trump ha sottoscritto contratti per la vendita di sistemi d’arma per 110 Mld; a novembre Raytheon e Boeing, quale parte di queste commesse, hanno confermato la fornitura di 7 Mld di “munizioni guidate di precisione” destinate ad essere sganciate sullo Yemen, ovvero ad alimentare la campagna terroristica sulla popolazione civile.
La maggior parte degli ordigni sganciati dalla coalizione a guida saudita sono ordigni guidati Jdam e Paveway ma, secondo il Sipri di Stoccolma, gli aerei sauditi lanciano sullo Yemen anche bombe a grappolo fornite dagli Usa, le stesse messe al bando da 119 Paesi per le loro ricadute sulla popolazione civile. Ma oltre alla massiccia fornitura di sistemi d’arma avanzati, Washington assiste Riyadh con supporto logistico e soprattutto fornendo Intelligence e informazioni mirate per gli attacchi.
D’altronde, al netto dell’ipocrisia, non vi è stata alcuna variazione fra il comportamento dell’Amministrazione Obama e quella Trump: gli Usa hanno sostenuto la campagna di bombardamenti terroristici condotta dalla coalizione saudita fin dall’inizio, anche rifornendo in volo gli aerei impiegati nelle missioni, e sempre dal 2015 hanno iniziato la fornitura di 8mila bombe a guida laser all’aviazione di Riyadh. In ogni caso l’Amministrazione Obama ha sottoscritto 42 accordi per la fornitura di armi all’Arabia Saudita per un valore di 115 Mld, il più alto fino ad allora nella storia delle relazioni fra i due Paesi.
E ancora, malgrado il blocco navale stesse spingendo milioni di civili yemeniti nella carestia, già nell’ottobre del 2015 Washington ha annunciato un accordo con Riyadh per la fornitura di naviglio militare per 10 Mld, secondo il Pentagono per “sostenere gli obiettivi strategici degli Stati Uniti”, con ciò sostenendo che l’aggressione allo Yemen vi rientra. E che si tratti di una selvaggia campagna di terrore è testimoniato dal fatto che frammenti di ordigni Paveway IV della Raytheon, quelle “munizioni guidate di precisione” per non fallire il bersaglio, sono stati trovati regolarmente in siti civili colpiti quali negozi e abitazioni.
Riguardo ai missili balistici con cui la Resistenza yemenita risponde all’aggressione, è un fatto arcinoto che sia il Sud che il Nord Yemen, già al tempo in cui erano due Stati, abbiano importato dall’allora Unione Sovietica tali armi a partite dagli anni ’70, missili impiegati durante la guerra civile del 1994; successivamente, il dittatore Saleh ne importò diversi dalla Corea del Nord, essenzialmente copie di Scud sovietici.
Partite di tali missili furono intercettate dagli spagnoli nel 2002 e consegnati alla Us Navy che, essendo Saleh allora un fedele alleato sia di Washington che di Riyadh, glieli girò. Al momento dell’aggressione, nel 2015, lo Yemen possedeva circa 300 Scud, gli stessi che, più o meno modificati dagli ingegneri yemeniti, vengono lanciati contro i sauditi come rappresaglia. A luglio dello stesso anno, l’intelligence sudcoreana ha confermato che gli Scud che cominciavano a cadere su bersagli sauditi come ritorsione, erano i missili nordcoreani che Stati Uniti e Arabia Saudita avevano consegnato allo Yemen nel 2002.
D’altronde, la commissione Onu incaricata d’indagare sulle presunte forniture di missili iraniani alla Resistenza yemenita non ha trovato alcuna prova né di consegne né di assistenza tecnica per l’impiego di quei sistemi d’arma, al contrario ha stabilito che a lanciare i missili è stato personale yemenita e che nessun componente di essi è stato introdotto nel Paese dal Mar Rosso, contraddicendo così la motivazione del blocco imposto da Riyadh ai porti dello Yemen. Piuttosto, la commissione Onu ha rilevato fra i frammenti dei missili lanciati su obiettivi sauditi sia alcuni componenti iraniani che statunitensi; stando alla bizzarra logica dell’Amministrazione Trump, ciò porterebbe a sostenere che sia gli Usa che l’Iran stiano appoggiando gli Houthi.
In ogni caso, né i sauditi né gli statunitensi hanno mai fornito indicazioni sulle presunte forniture e i funzionari Usa hanno dimostrato d’ignorare persino dove e quando i sistemi d’arma sarebbero stati impiegati.
A conclusione di questo lungo documento, emerge che gli yemeniti sono in grado d’assemblare e usare missili; che nessun componente di essi è entrato in Yemen; che gli esperti dell’Onu hanno trovato sui resti degli ordigni sia componenti statunitensi che iraniani e che né Washington né Riyadh sono in grado di documentare minimamente le supposte consegne. In sostanza, nessuna affermazione dell’Amministrazione Trump o dei suoi alleati mediorientali ha fondamento, ma si tratta di un’altra delle “realtà alternative” (leggi bufale) a cui ci ha abituato la Casa Bianca.
Per quanto attiene all’immane tragedia che sta devastando lo Yemen, il documento iraniano sostiene che non può esistere alcuna soluzione militare e che occorre un cessate il fuoco immediato che permetta l’arrivo di massicci aiuti umanitari alla popolazione stremata. Per Teheran l’unica via è un dialogo fra le parti che porti alla formazione di un Governo di unità nazionale che includa tutti gli attori yemeniti.
Su questo obiettivo si concentra l’attività della diplomazia iraniana, nell’auspicio che le potenze straniere impegnate nel conflitto prendano sul serio la proposta di un forum per il dialogo sull’assetto della regione. L’interruzione dell’aggressione e la fine delle ingerenze straniere è l’unica via per porre fine alle immani sofferenze dello Yemen.
di Salvo Ardizzone