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Cisgiordania: tra demolizioni e rastrellamenti prosegue la pulizia etnica in Palestina

di Manuela Comito

Continua senza sosta la pulizia etnica ad opera del governo di Tel Aviv contro i palestinesi residenti nella Valle del Giordano. All’alba di ieri, bulldozer scortati dall’esercito israeliano hanno raso al suolo il villaggio di Khirbat Jamal, lasciando senza casa una dozzina di famiglie e impedendo ad alcuni attivisti per i diritti umani, accorsi in aiuto degli sfollati, di raggiungere la zona. Il 9 gennaio la stessa sorte era toccata agli abitanti del villaggio di Khirbet Ein Karzaliyah e lo scorso ottobre ai residenti del villaggio di Makhool, a nord della Valle del Giordano. Case devastate, decine di famiglie sfollate, col pretesto che le abitazioni sono state costruite senza autorizzazione, mentre la realtà è che si deve “far posto” agli insediamenti israeliani, quelli si costruiti illegalmente, nel disprezzo delle leggi internazionali, contro quanto sancito dalla Quarta Convenzione di Ginevra, che vieta la costruzione su terre sottratte illegalmente.

A questo si aggiungono i rastrellamenti condotti quotidianamente in tutta la Cisgiordania dalle forze militari israeliane. Gli ultimi hanno portato il 28 gennaio all’arresto di 29 giovani palestinesi, accusati di essere coinvolti in attività terroristiche e il 30 gennaio all’arresto di altri 10, secondo quanto riporta Ma’an. Mentre il 29 gennaio l’esercito di occupazione ha ucciso Muhammad Mahmoud Mubarak di 22 anni, vicino al villaggio di Ramallah di Ein Siniya.

Alla luce di questi avvenimenti fa riflettere la dichiarazione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che, nelle scorse settimane, ha accusato l’Unione Europea di atteggiamento “ipocrita” verso il processo di pace in Medioriente, e ha indicato nella militanza palestinese la causa dello stallo dei colloqui di pace iniziati a luglio 2013 e mediati dagli Stati Uniti. Le sue affermazioni rappresentano un tentativo di giustificare la politica di espansione degli insediamenti che Israele porta avanti nonostante la condanna a livello internazionale e nonostante essa costituisca il reale motivo del fallimento dei colloqui di pace. Netanyahu dimentica forse che la “militanza palestinese” è diretta conseguenza dell’occupazione della Palestina da parte di Israele e che, purtroppo, rappresenta l’unica difesa per un popolo drammaticamente provato da più di 66 anni di occupazione illegale, dal momento che, nonostante i timori del premier israeliano, la Comunità Internazionale si limita a condannare formalmente la politica del regime di Tel Aviv, ma si guarda bene dal prendere seri provvedimenti per le decine e decine di risoluzioni Onu trasgredite da Israele.

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