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Usa, l’impero finanziario che sfrutta il mondo

Nel luglio del ’44, mentre il mondo era ancora immerso negli orrori della guerra, gli Usa decisero di sfruttare la situazione imponendo agli alleati la propria leadership geopolitica e finanziaria. Lo fecero attraverso la creazione di tre sistemi globali di cui si riservarono il controllo: il primo politico, l’Onu; il secondo commerciale, il Gatt, successivamente trasformato in Wto; il terzo monetario e finanziario, gli accordi di Bretton Woods.

UsaFu con quest’ultimo che vinsero le reticenze delle Nazioni angosciate per le rovine di un conflitto immane, che cercavano sicurezza per un domani incerto: a Bretton Woods fu deciso di agganciare le varie monete al dollaro, che a sua volta sarebbe stato agganciato all’oro, con una convertibilità fissa di 35 dollari per oncia. In questo modo, tutti gli Stati venivano garantiti dal biglietto verde che diveniva così la moneta mondiale.

Il sistema durò 27 anni, garantendo notevoli benefici agli Stati Uniti, ma per essi diveniva sempre più difficile e dispendioso reggerlo: da un canto le guerre in cui la superpotenza si era imbarcata (soprattutto quella del Vietnam) si erano dimostrate assai costose; dall’altro, molti Paesi, come la Francia di De Gaulle, avevano cominciato a pretendere la conversione dei dollari in loro possesso in oro, falcidiando le riserve del Tesoro Usa e portando Washington sull’orlo del collasso.

Per uscire da una situazione troppo onerosa, nell’agosto del ’71 Nixon decretò la fine del sistema di convertibilità aurea di Bretton Woods, gettando nella confusione l’economia del mondo: come misurare il valore delle merci negli scambi fra i diversi Paesi? A cosa agganciare i cambi?

Fu un’operazione calcolata che consentì a Washington, nell’ottobre del 1973, in pieno shock petrolifero conseguente alla guerra dello Yom Kippur, d’imporre all’Opec di effettuare in dollari le vendite di greggio; da quel momento Washington agganciò la risorsa strategica per eccellenza alla moneta verde. Fu quell’evento che sancì la nascita dell’impero finanziario che avrebbe avvinto con le sue reti il mondo, permettendo agli Usa di accrescere a dismisura la propria influenza e sottrarre ricchezza al resto del globo.

Dal ’71 cominciò la diffusione del dollaro come strumento dell’economia mondiale: gli Usa emettevano moneta attraverso i Buoni del Tesoro, questi venivano sottoscritti dal resto del mondo e gli enormi capitali finivano per rientrare nei tre cruciali mercati statunitensi: quello azionario, quello dei futures e quello del debito pubblico. E’ in questo modo che Washington finanzia il proprio Sistema Paese con i soldi del mondo intero e guadagnandoci pure alla grande: fa soldi con i soldi e i Buoni del Tesoro che si limita a stampare.

Da allora, gli Stati Uniti hanno progressivamente abbandonato l’economia reale per fare della propria un’economia finanziaria e virtuale; per intenderci: il 70% dei posti di lavoro sono migrati (con l’incentivo del Governo) dal manifatturiero alle attività finanziarie; con l’eccezione del settore High-Tech ed aerospaziale, la stragrande maggioranza delle attività produttive sono state abbandonate o delocalizzate; dei 18mila miliardi dell’attuale Pil americano, solo 5mila derivano dalla produzione di beni reali.

Hanno fatto del proprio Sistema il centro del mercato finanziario globale, e lo utilizzano non solo per assicurarsi una rendita stratosferica sui soldi degli altri, ma come strumento di dominio sulle altre economie. La stessa Fed, utilizzando ad arte i tassi e determinando la maggiore o minore appetibilità del biglietto verde e delle altre monete, dirige i flussi dei capitali dell’economia mondiale. In questo modo, non solo alza al massimo i profitti del Sistema Paese americano, ma causa le crisi per impedire ad altre economie di rivaleggiare con gli Usa.

Il nodo è che per mantenere un Sistema industrialmente svuotato, che vive di economia virtuale, garantendo un alto livello di benessere alla parte che conta della propria popolazione, è imperativo che la superpotenza assorba enormi quantità di capitali. Chiunque possa limitarne il flusso diviene un nemico strategico da colpire in qualunque modo. E quando la moneta verde non basta, sono altri i sistemi che utilizza.

Basta un esempio recente per tutti: l’Ucraina. Con la crisi suscitata attraverso un colpo di Stato e gli intrighi e le macchinazioni che sono succedute, ha bloccato l’avvicinamento fra Ue e Russia, due Sistemi naturalmente sinergici che avrebbero creato un’area immensa di reciproco sviluppo da cui Washington sarebbe stata esclusa. Inoltre, ha provocato una massiccia fuga di capitali dall’Europa e dalla Russia, calcolata recentemente in circa mille miliardi di dollari, che indebolisce il Vecchio Continente e contribuisce ad ingrassare il “Nuovo” e, per la prima volta, con grande dispiacere di Wall Street, altri mercati.

Per tenere in vita questo meccanismo, occorre dunque che il biglietto verde rimanga al centro dell’economia globale: nel 1999, almeno l’80% delle transazioni globali avveniva in dollari, era la situazione ideale, ma sorse il primo inciampo all’inizio sottovalutato, l’Euro, che a tutt’oggi, malgrado tutte le crisi e i limiti di una struttura volutamente incompiuta e artificiale, è al centro della Ue (un’area con 27mila Mld di $ di Pil, la più grande al mondo) e sostiene il 23% degli scambi mondiali.

Fu una lezione, ma le contromisure furono rapide e, in fondo, per gli assurdi limiti strutturali imposti dalle visioni grette ed egoistiche dell’economia più forte, la Germania, non aveva (né ha a tutt’oggi) margini di sviluppo. E poi, oltre che finanziariamente, era anche politicamente diviso e assoggettato a Washington, come dimostrato infinite volte.

Lo spartiacque è venuto con la crisi finanziaria del 2007-2009, quando la finanza americana, dopo aver causato un disastro di dimensioni globali per la sua smodata avidità, ne ha scaricato il costo sul resto del mondo attraverso i meccanismi collaudati del suo strapotere. È stato questo che ha spinto diversi Paesi a trovare vie alternative ad una sudditanza rivelatasi troppo onerosa.

Adesso per gli Usa i timori, grandi, vengono dalla Cina, l’avversario che si sta muovendo per tutta la piattaforma eurasiatica per instaurare un proprio ordine, associando le economie dell’Asia e non solo. Il progetto alternativo, Le Nuove Vie della Seta, prevede di mettere insieme le economie dell’Asia, del Medio Oriente e della Russia, legate da un’imponente rete d’investimenti infrastrutturali fino all’Europa. Nascerebbe un’enorme area economica con lo Yuan al centro, e sarebbe di gran lunga la più grande di un mondo diviso in tre, fra euro, dollaro e, appunto, yuan.

Per gli Usa è una minaccia micidiale: già ora la moneta verde è scesa a controllare il 60% degli scambi globali; l’affermarsi dello yuan falcidierebbe quella fetta e di fatto determinerebbe la fine dell’impero finanziario statunitense. È questo il motivo per cui il “Pivot to Asia”, la politica di contenimento della Cina su cui Obama vorrebbe concentrarsi districandosi dal pantano mediorientale, ormai secondario per gli interessi primari Usa, è ritenuto da Washington vitale: dalla sua riuscita dipende il mantenimento della supremazia finanziaria e monetaria e dunque la sopravvivenza dell’attuale Sistema americano.

Storicamente, il potere Usa si è basato sul dollaro, sulla tecnologia e sull’apparato militare, reso strapotente dal sostegno degli altri due elementi; il Pentagono ha combattuto le sue guerre per sostenere il biglietto verde e, attraverso l’uso della finanza, ha centrato l’obiettivo di arricchire il Sistema Paese americano anche quando ha perso.

Adesso però le cose stanno cambiando rapidamente: la tecnologia emigra e diviene patrimonio di tutti coloro che hanno i fondi e la capacità di usarla, sfruttandone le opportunità senza farsi condizionare dal Sistema che la precede. È questo il caso non solo della Cina, ma anche di molti Paesi emergenti che plasmano i loro Sistemi in funzione della convenienza, con un cinismo ed una spregiudicatezza simile se non superiore agli Usa.

Anche la forza dello strumento finanziario sta cambiando, diversificando i sistemi di scambio ed introducendo nuove monete in funzione della convenienza; in un simile scenario multipolare, una crisi non si limiterebbe a far affluire capitali a Wall Street come nel passato, ma differenzierebbe le loro destinazioni, come s’è già visto in occasione dell’affare ucraino, e finirebbe per ritorcersi contro la finanza Usa.

Resta lo strumento militare, usato sempre a discrezione da Washington, ma la forza bruta da sola non basta né a centrare gli obiettivi ufficiali (e lo si è visto infinite volte in Vietnam, in Iraq, in Afghanistan, per citare solo alcuni esempi), né soprattutto a fare gli interessi di Wall Street senza uno strapotere del dollaro, che a questo punto è già messo in discussione.

Privo di un tessuto produttivo reale paragonabile alla sua dimensione, e basato su un’economia finanziaria e largamente parassitaria, venendo a mancare un flusso continuo e spropositato di capitali il sistema Usa collasserebbe in modo rapido e irreversibile. Sarebbe la fine di un imperialismo brutale, che troppo a lungo ha oppresso e sfruttato il mondo con la sua violenza e i suoi crimini; purtroppo, al suo posto s’instaurerebbe un altro imperialismo rapace e negatore di diritti, quello cinese.

Senza la crescita d’una coscienza collettiva contro l’Imperialismo, qualunque Sistema l’incarni; senza una Resistenza consapevole contro i suoi meccanismi d’oppressione, che spezzi le catene della sudditanza, il mondo è destinato a passare da un padrone all’altro in una servitù senza fine né sbocco.

di Salvo Ardizzone

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