Stop oleodotto, vittoria dei Nativi americani
“Presidente Obama, grazie per avere arrestato temporaneamente l’oleodotto Dakota Access. Ora fermalo in modo permanente. Hai detto che apprezzi la sovranità originaria e ora hai dimostrato che si può fermare il Dakota Access. Si prega di rispettare la vita degli indigeni, le loro acque sacre e il nostro clima prezioso e cancellare definitivamente l’oleodotto”. Questo il messaggio inviato domenica al Presidente Obama dalla Standing Rock Sioux Tribe in risposta all’ultimo annuncio del governo degli Stati Uniti. Il “serpente nero”, come i nativi chiamano l’oleodotto, non passerà più per le loro terre, sotto il lago Oahe del fiume Missouri nel North Dakota, terre considerate dal governo di proprietà federale.
Il Dipartimento del Corpo d’Armata del Genio Civile ha preso la decisione di negare la richiesta di una servitù e preparerà invece una dichiarazione di impatto ambientale dei percorsi alternativi, per i quali saranno effettuati nuovi studi. “Il modo migliore per completare quel lavoro in modo responsabile e rapido è quello di esplorare percorsi alternativi per l’attraversamento dell’oleodotto”, ha dichiarato Jo-Ellen Darcy, segretario assistente dell’esercito per le opere civili.
Domenica: dall’ansia per lo sfratto alla gioia per la vittoria
Da mesi le tribù native americane Standing Rock Sioux e Cheyenne del fiume Missouri stanno lottando per fermare il passaggio del “serpente nero” sulle loro terre sacre. Ai “protettori delle acque” si è unita molta gente, altre tribù di nativi, ambientalisti, uomini di cultura e studenti. La repressione della polizia è andata via via indurendosi. Da ottobre, le forze locali e la Guardia Nazionale non hanno esitato a fare uso di gas lacrimogeni, cannoni ad acqua, proiettili di gomma e pistole elettriche. Il 20 novembre, un giovane manifestante è stato gravemente ferito al braccio da una granata. Le forze di polizia hanno usato cannoni ad acqua contro i militanti, mentre la temperatura esterna era inferiore a 0° C. I medici del campo hanno poi denunciato diversi casi di ipotermia.
Nelle ultime settimane, molte persone sono venute al campo Oceti Sakowin per le donazioni di cibo e attrezzature per l’inverno. Solo lo sceriffo della contea di Morton, fortemente contrario alle manifestazioni, ha istituito barricate per controllare le persone che cercavano di arrivare al campo. Ha minacciato di punire con multe di mille dollari tutti quelli che andavano in aiuto dei “protettori di acqua”.
In ultimo, migliaia di veterani Usa si sono uniti alle proteste. I veterani, organizzati sotto la bandiera “Veterani a Supporto di Standing Rock”, hanno dichiarato sabato che avrebbero messo i loro corpi sulla linea per aiutare gli attivisti a fermare il progetto. “Nella massima espressione di alleanza, noi siamo lì per mettere i nostri corpi sulla linea, non importa il costo fisico, in assoluta non-violenza”, ha scritto il gruppo nel suo “ordine di funzionamento”.
Domenica è arrivata anche Tulsi Gabbard-Tamayo, politica e militare statunitense, membro della Camera dei Rappresentanti per lo Stato delle Hawaii, giunta con il movimento dei veterani per proteggere i manifestanti dallo sfratto previsto per lunedì 5 dicembre. La Gabbard, in piedi nella prateria spazzata dal vento invernale, circondata da decine di veterani, alcuni dei quali vestiti in tuta mimetica, ha spiegato perché era importante combattere a fianco della Standing Rock Sioux Tribe per bloccare la costruzione del gasdotto. “E’ un lotta tra chi sceglie il cosiddetto sviluppo economico e posti di lavoro centellinati, contro chi sta in piedi per proteggere l’acqua”.
E subito dopo risuonano celebrazioni, lacrime di gioia, canti e tamburi all’arrivo della notizia del governo federale al campo di protesta principale nella riserva di Cannon Ball nel North Dakota. Il campo non sarà sgombrato il 5 dicembre e il “serpente nero” non passerà più per le terre sacre dei nativi. Vittoria!
Sarà una vera vittoria?
Nell’entusiasmo della vittoria alcuni leader tribali sono preoccupati che la loro vittoria possa rivelarsi di breve durata, con l’entrata ufficiale alla Casa Bianca del nuovo presidente, Donald Trump, che sostiene il progetto oggetto di controversia. Anche gli attivisti di base, che hanno trasformato il campo in una mini-città, hanno espresso cautela circa la portata e la durata del trionfo.
I numerosi attivisti delle Hawaii che sono stati coinvolti nelle proteste, sfidando freddo, neve e ghiaccio per collaborare con i “protettori delle acque”, sono convinti della necessità di mantenere la pressione perché la vittoria di oggi non è la vittoria di domani, con la nuova amministrazione.
D’altra parte non è un mistero che siano i nativi i custodi delle terre ancestrali, i difensori del nostro futuro. Milioni di indigeni ogni giorno sono costretti con la violenza a lasciare le proprie terre ancestrali. Le loro sono storie di diritti calpestati a favore degli interessi economici delle multinazionali.
di Cristina Amoroso