AttualitàDiritti Umani

Violenza sessuale, tortura e silenzio: l’inferno delle carceri israeliane

“Persino il movimento delle ombre mi terrorizza”. Così Saber, un prigioniero palestinese di 45 anni della città di Qalqilya, nella Cisgiordania settentrionale, descrive la sua condizione. Secondo il suo racconto, nel novembre 2023 è stato vittima di violenza sessuale da parte delle guardie carcerarie all’interno delle carceri israeliane. Il suo cognome è stato omesso per motivi di sicurezza e privacy.

Secondo una denuncia presentata da Saber nel luglio 2024 tramite il suo avvocato, Wiam Baloum, alla polizia israeliana – una copia della quale è stata ottenuta da Al-Araby Al-Jadeed – il prigioniero è stato sottoposto a gravi abusi per due giorni consecutivi. Saber ha sottolineato di non essere l’unica vittima e che altri due prigionieri sono stati aggrediti contemporaneamente, sotto la supervisione di un alto funzionario penitenziario.

La denuncia chiedeva il trasferimento di Saber dalla prigione del Negev per prevenire ritorsioni, l’avvio di un procedimento giudiziario e la fornitura di cure mediche e psicologiche. Tuttavia, nessuna di queste richieste è stata accolta. La polizia israeliana ha infine archiviato il caso, citando la “mancanza di prove sufficienti”, una mossa che l’avvocato di Saber ha descritto come una chiara prova di collusione tra le istituzioni di sicurezza e giudiziarie israeliane.

Con l’aumentare delle denunce, le autorità carcerarie hanno adottato una nuova politica: rimuovere i nomi degli agenti dalle loro uniformi e sostituirli con dei numeri, riducendo così la possibilità di identificarli e perseguirli legalmente.

Rintracciare i colpevoli online

Nonostante queste restrizioni, l’autore di questo rapporto è riuscito a identificare le identità e le immagini di diversi agenti citati nella denuncia di Saber attraverso il tracciamento degli account dei social media. Tra questi c’è Raz Fasker, un alto ufficiale del carcere di Negev, che si definisce semplicemente “dipendente governativo” sui suoi account personali, pur condividendo contemporaneamente foto dei suoi viaggi all’estero, tra cui un viaggio in Germania.

Sono state identificate anche le identità di altri due agenti del carcere di Ofer, vicino a Ramallah. Secondo le testimonianze di nove prigionieri rilasciati, questi agenti hanno avuto un ruolo diretto nelle torture e negli abusi sui detenuti, in particolare sui prigionieri di Gaza.

Violenza sessuale un modello sistematico

Secondo le statistiche della Commissione palestinese per gli affari dei detenuti e degli ex detenuti, dal 7 ottobre almeno 77 prigionieri palestinesi sono morti a causa delle torture nelle carceri israeliane, mentre la sorte di decine di altri rimane sconosciuta.

Un rapporto del Palestinian Prisoners’ Club, in occasione del secondo anniversario dell’inizio della guerra, conferma che le aggressioni sessuali – insieme alla tortura, alla fame, alla negazione delle cure mediche e alla diffusione deliberata di malattie – sono diventate parte di un sistematico schema di violazioni dei diritti dei prigionieri. Secondo l’organizzazione, questo schema continua a essere perpetrato sotto copertura giudiziaria, persino a livello della Corte Suprema israeliana.

Lima Bastami, responsabile del dipartimento legale dell’Euro-Mediterranean Human Rights Monitor, afferma che, nonostante i notevoli ostacoli all’interno del sistema giudiziario israeliano, l’azione penale internazionale rimane possibile attraverso la Corte penale internazionale e il principio di giurisdizione universale. Secondo lei, il diritto internazionale non si concentra sull’identità degli autori, ma sulla natura dei crimini commessi.

Tuttavia, sottolinea che la mancanza di volontà politica all’interno dell’Autorità Palestinese resta uno dei principali ostacoli al progresso efficace di questi casi, facendo sì che molti sforzi si blocchino nella fase di registrazione delle denunce.

Paura di ritorsioni

Secondo Amani Sarhanah, addetta stampa del Palestinian Prisoners’ Club, al 12 dicembre sono stati documentati almeno 11 casi di violenza sessuale nelle carceri israeliane. Ciononostante, molte vittime evitano di intraprendere azioni legali per paura di ritorsioni, di un nuovo arresto o di minacce contro le loro famiglie, cercando solo un trattamento psicologico.

Il caso noto come “scandalo Sde Teiman”, che ha portato alle dimissioni del procuratore militare israeliano, è citato come esempio di tale pressione, in cui alla vittima non è stato nemmeno permesso di fornire una testimonianza formale.

di Redazione

Mostra altro

Articoli correlati

Lascia un commento

Pulsante per tornare all'inizio

IlFaroSulMondo.it usa i cookies, anche di terze parti. Ti invitiamo a dare il consenso così da proseguire al meglio con una navigazione ottimizzata. maggiori informazioni

Le attuali impostazioni permettono l'utilizzo dei cookies al fine di fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Se continui ad utilizzare questo sito web senza cambiare le tue impostazioni dei cookies o cliccando "OK, accetto" nel banner in basso ne acconsenterai l'utilizzo.

Chiudi