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Le forze militari in campo nel caos libico

di Salvo Ardizzone

A Rabat, per diversi giorni, è andata in scena la commedia delle trattative fra i due “governi” libici contrapposti, con Bernardino Leon (inviato speciale dell’Onu) in veste di regista, ad affastellare con un ottimismo smentito della realtà le più fantasiose proposte istituzionali per un fantomatico governo unico che metta insieme le due parti.

Intendiamoci, sanno tutti anche troppo bene che un eventuale accordo servirebbe solo a legittimare un intervento in Libia che è volontà di tutti effettuare (beninteso: ognuno con obiettivi assai diversi), ma che in sé sarebbe solo carta straccia, tuttavia, nell’infinita ipocrisia dell’Onu e della cosiddetta Comunità Internazionale, è un passaggio irrinunciabile.

Il fatto è che, quand’anche si raggiungesse un qualsivoglia accordo che duri solo il tempo sufficiente ad una delibera dell’Onu che dia la copertura “legale” alla nuova Operazione Libia, il risultato sarebbe tutt’altro che scontato e per un’ottima ragione: i due “governi” non controllano le milizie; esse seguono semmai le direttive delle Potenze straniere che le foraggiano, e non hanno alcuna intenzione di abbandonare le armi ed il potere (e il denaro) che averle in mano garantisce.

L’idea di un accordo con tutti dentro, suona assai male alle orecchie di chi ha investito tanto su quella guerra per procura, fornendo materiali, soldi e addestramento, e non ha intenzione dividere con altri una preda preziosa; è questo il motivo che ha spinto il sedicente generale Khalifa Heftar, ex gheddafiano, ex Cia ed ora strumento del Cairo, a lanciare un velleitario attacco su Tripoli, che mai avrebbe potuto sortire risultati, al solo fine di sabotare gli incontri di Rabat i cui eventuali sviluppi non piacevano né a Washington, che avrebbe rischiato d’esser tagliata fuori da un accordo, né all’Egitto di Al-Sisi, che avrebbe visto messe in discussione le sue mire sul petrolio e sul gas della Cirenaica.

Per comprendere la situazione reale in un quadro confuso come la Libia, invece di perder tempo dietro i “governi”, che sono semplici paraventi dietro cui altri si muovono, occorre esaminare le effettive forze sul campo e da chi ricevono aiuti e direttive.

Lo schieramento che si rifà al “governo” di Tobruk, e militarmente guidato da Heftar, conta su due pilastri: in Cirenaica schiera il cosiddetto Esercito Libico, con sulla carta (ma solo su quella) circa 60mila uomini, inquadrati da circa 2/300 elementi delle Forze Speciali egiziane. L’equipaggiamento, un misto di vecchi residui dell’Esercito di Gheddafi e di nuove forniture, provenienti da Qatar, Italia e Russia, conta una decina di carri, diverse centinaia di blindati e solo 11 velivoli (3 Mig-21, 4 Mig-23 e 4 elicotteri d’attacco Mi-24). Ultimamente, in barba all’embargo sulle forniture militari proclamato dall’Onu, sono arrivati 2 Su-24 d’attacco (pare dall’Algeria) e 3 Mig-21 forniti dall’Egitto che in questi giorni ne sta fornendo altri 8 insieme a 4 elicotteri d’attacco Mi-24. Sono macchine certo datate, ma nel teatro libico (piatto e desertico) sono preziose e danno un vantaggio a chi ne dispone.

L’altro pilastro, basato in Tripolitania, sono le milizie di Zintan comandate da Kalifah Shau, schierate al confine con l’Algeria (da cui pare ricevano aiuti discreti) e sulle montagne di Nafusa alle spalle di Tripoli, ed elementi gheddafiani della tribù Warfalla stanziati a Bani Walid (ex roccaforte del vecchio regime), in questi ultimi mesi equipaggiati ed addestrati dalle Forze Speciali francesi. Le milizie, organizzate su brigate di composizione assai diversa, possono contare su oltre 20mila elementi, con un discreto corredo di armi pesanti ed equipaggiate essenzialmente sulle classiche “tecniche” con sopra mitragliatrici pesanti e lancia razzi. Un complesso di armati considerevole, ma tutt’altro che sufficiente a prendere Tripoli.

La capitale è tenuta dalle forze della coalizione Fajr (Alba), che è articolata sostanzialmente su tre gruppi; quello di gran lunga più importante è costituito dalle milizie di Misurata, al momento una città stato totalmente indipendente, forti di 40mila uomini, equipaggiati con circa 800 mezzi blindati o corazzati oltre a migliaia di “tecniche” con sopra le solite mitragliere e lancia razzi; è la formazione più potente, addestrata ed equipaggiata del panorama libico, che ha messo le mani sui materiali e i mezzi che l’Esercito libico aveva fra Tripoli e Sirte. Nei porti che controlla arrivano armi e materiali inviati dalla Turchia e dal Qatar.

C’è poi il Lybian Shield, un gruppo ombrello che raggruppa una miriade di milizie e bande di tendenza islamica, vicine alla Fratellanza Musulmana, che forte di circa 20mila elementi con 1.200 fra pick-up e blindati, controlla molte aree costiere. Da ultimo, ci sono le forze di Abdel Haki Belhadj, uomo del Qatar, alla testa di 2/3mila miliziani ben armati, equipaggiati ed addestrati direttamente dalle Forze Speciali qatarine, mantenuti nella capitale per essere al centro dei giochi.

Fuori da queste alleanze, c’è il cartello delle milizie più o meno qaediste che opera in Cirenaica in cui ha radici antiche, alleato con Fajr contro il comune nemico Heftar, e su cui il Generale fatica ad avere il sopravvento a Bengasi e altrove; il gruppo è rifornito dal Golfo di armi e denaro ed è dedito ad ogni tipo di traffici criminali (ma sia ben chiaro: in un modo o nell’altro, praticamente tutte le milizie lo fanno).

Sul campo, è una situazione di sostanziale stallo: in Tripolitania, Zintan è una spina nel fianco della coalizione Alba, come il cartello dei movimenti qaedisti lo è per Tobruk in Cirenaica, ma nulla più e, allo stato dei fatti, è irrealistica la prospettiva di una vittoria militare di una parte sull’altra.

In attesa di fatti che facciano spostare la bilancia, ognuna delle Potenze estere impegnate muove le sue pedine sul campo per meglio posizionarle per il dopo: dei libici e di quel disgraziato Paese a nessuno importa.

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