Vertice di Riga: stop all’antico progetto di portare la Ue fino ai confini russi
“Basta sollevare false aspettative che poi non saremo in grado di onorare”: sono parole di Angela Merkel, pronunciate dinanzi al Bundestag prima di partire per Riga. Laggiù, venerdì s’è aperto il quarto vertice del partenariato orientale; quello precedente aveva visto la rottura del premier ucraino Yanukovych, che all’ultimo aveva rifiutato di firmare l’associazione con la Ue, dando esca alle manovre sfociate nel colpo di Stato del febbraio 2014 e nella crisi che insanguina a tutt’oggi quel Paese.
Assai poco conosciuto al grande pubblico, il partenariato orientale è un’invenzione di un gruppo di Stati (Polonia, Svezia e Paesi Baltici) che sei anni fa hanno immaginato, attraverso una rete d’accordi progressivi, d’attrarre i Paesi dell’ex Urss strappandoli alla naturale sfera d’influenza russa. Uno strumento benedetto da Washington, che lo vedeva ideale per indebolire ed isolare Mosca, e utilizzato alla fine da Berlino per ridisegnare, secondo i suoi interessi, gli equilibri nell’Est Europa.
La sanguinosa crisi che ne è seguita, cavalcata cinicamente dagli Usa, ha travolto i calcoli della Germania e degli altri europei, causando danni incalcolabili a Ue e Russia, dilaniando irrimediabilmente l’Ucraina e arrecando benefici solo a Washington che continua a riattizzare il fuoco.
La Merkel ha compreso la lezione e, con una buona dose di realismo, ha stoppato le velleità di polacchi e baltici che, seguendo gli incoraggiamenti americani, avrebbero voluto continuare nella contrapposizione frontale con Mosca. “Il partenariato orientale non è uno strumento di allargamento dell’Unione Europea”, ha tagliato corto, ponendo fine alla discussione ed archiviando l’antico progetto di portare la Ue fino ai confini russi.
D’altronde il messaggio c’era stato: alla vigilia del vertice di Riga, il ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov aveva dichiarato di non considerare una tragedia il fatto che i Paesi confinanti desiderassero rafforzare i legami con l’Europa, a condizione che non venissero danneggiati gli interessi di Mosca.
Le strade dei Paesi coinvolti nel Partenariato s’erano già vistosamente divise nell’ultimo anno e mezzo: Armenia, Azerbaigian e Bielorussia avevano scelto la Russia e l’Unione doganale eurasiatica propiziata da Mosca, mentre l’Ucraina, la Georgia e la Moldavia avevano continuato a sognare un irrealistico percorso, benedetto dagli Usa, che si sarebbe concluso nella Ue.
Adesso, la frenata imposta da Berlino (e sostenuta con discrezione da Roma e da Parigi) infrange quelle aspettative fondate sul nulla, in aperto contrasto con la realtà dei fatti, con le macroscopiche differenze fra i Sistemi Paese e con la Storia. Adesso, chi ha sognato un facile Eldorado lastricato di Euro, dovrà ricredersi sulle promesse bugiarde quanto interessate di chi li ha usati come docili pedine contro Mosca.
Nel complesso, quel vertice, non a caso così poco trattato dai media per il suo vero contenuto, e il documento che ne sortirà, nella forma ancora in gestazione ma nella sostanza già scritto, costituiscono la fine di una politica scellerata, nata in Europa ma di cui subito Washington s’è impadronita e ha diretto secondo i propri fini.
Adesso occorrerà molto tempo e molta gradualità per riparare i danni immensi che ha causato, semmai ci si riuscirà, e d’altro canto le provocazioni della Nato rimangono tutte in atto, ma, almeno sul versante della Ue (leggi Germania), la lezione pare cominci ad essere recepita.