Usa-Russia: una contrapposizione che non è Guerra Fredda
L’attuale contrapposizione Usa-Russia, non è una Guerra fredda 2.0 malgrado ciò sia affermato con forza crescente da media disinformati o compiacenti; nasce da motivazioni radicalmente diverse, in un contesto totalmente mutato. Si tratta piuttosto di una guerra che definiremo asimmetrica, che rompe cioè gli schemi tradizionali di scontro diretto fra eserciti, e utilizza piuttosto l’economia, la disinformazione, il conflitto per interposti alleati, come pure il subdolo potere destabilizzante del Terrorismo. Una guerra intrapresa dagli Usa per mantenere la propria egemonia, e giunta ora ad uno snodo focale.
Per gli Usa, l’obiettivo è quello di sempre, quantomeno dalla dissoluzione dell’Urss: impedire che una o più potenze, che si coalizzino intorno a un disegno strategico, giungano a controllare l’Eurasia o la gran parte di essa, determinando di fatto la marginalizzazione di Washington e il definitivo tramonto della sua pretesa egemonia globale. Per lo Zio Sam un incubo che si incarna nella Gerussia (ovvero l’unione della tecnologia tedesca alle sterminate risorse naturali della Russia) o, peggio ancora, nell’integrazione in un unico progetto, determinato dalla coincidenza d’interessi, fra Pechino, Mosca e Berlino.
Le radici dell’attuale contrapposizione, non stanno dunque nell’ordine sorto a Yalta, quanto nel crollo di esso con l’affermarsi di un’unica Superpotenza con pretese di egemonia globale. Per comprenderlo basta fare alcune riflessioni: la Guerra Fredda era un rigido ordine mondiale basato su due poli; un confronto geopolitico ed economico che divideva il mondo come le parti di una mela. L’attuale contrapposizione nasce invece dalla collisione fra la multipolarità (il sorgere di molti soggetti in cerca di crescente affermazione sulla scena mondiale) e la pretesa di egemonia globale di Washington.
E ancora: l’Unione Sovietica era una Superpotenza con anch’essa un progetto di egemonia globale, speculare, su piani diversi, a quello Usa. La Russia attuale non è l’Urss in formato ridotto, è semplicemente altra cosa; è un Paese che intende riemergere dopo essere stato umiliato e spinto ai margini della scena mondiale; un Paese che ha un’identità propria, misconosciuta e travisata dal soft-power mediatico di Washington, ma che è reale e intende affermarsi.
Infine, ma le riflessioni potrebbero essere tante ancora, ai tempi della Guerra Fredda i conflitti locali, attraverso i quali le due Superpotenze s’affrontavano per interposto soggetto, c’erano, eccome, ma per quanto aspri fossero, erano imbrigliati all’interno di ambiti precisi dettati da esse. Nello scenario attuale, invece, i conflitti tendono ad espandersi incontrollati perché frutto di un mondo multipolare, e dell’azione dei tanti soggetti che in esso vogliono emergere.
Gli Usa, ovunque presenti, tentano così di “governare il caos” che ha sostituito ogni ordine precedente, per impedire che qualche potenza raggiunga la leadership su un’area, riservandosi di essere il riferimento di tutti e l’ago della geopolitica globale.
Ma se la partita di Washington è globale, perché l’enfasi sulla contrapposizione con la Russia? Per due ottime ragioni: intanto, rispolverare i rituali della Guerra Fredda è per gli Usa la migliore copertura per le proprie azioni, e la leva perfetta per indurre l’ectoplasma politico europeo ad allinearsi, malgrado l’evidente riluttanza delle più concrete economie. Inoltre, se come detto il nodo focale è l’Eurasia (ed impedire che vi sorga un’area da cui gli Usa siano esclusi), per Mosca essa non è una scelta geopolitica ma, da sempre, la propria dichiarata identità.
Gli obiettivi che la Russia intende perseguire, a ben guardare, sono a tutela del proprio Sistema Paese, ed ascrivibili nel proprio naturale orizzonte geopolitico: per primo ostacolare il cappio che gli Usa hanno stretto fin sui suoi confini, estendendo la Nato in una irragionevole corsa verso Est, contravvenendo a precisi impegni presi ai tempi di Bush senior. Secondo, favorire il flusso delle proprie risorse energetiche verso i mercati europei ed ora asiatici. Terzo, rafforzare i legami con la Cina, sia pur accettando il ruolo di junior partner che le attuali condizioni le impongono. Quarto, tentare di riallacciare i rapporti con i Paesi Europei (Germania in testa).
Come si vede, la Russia non si propone nulla di eversivo, ma Washington risponde attizzando la tensione lungo i confini europei, muovendo una guerra economica e finanziaria e mobilitando il proprio soft-power mediatico per demonizzare un avversario che cerca di mettere nell’angolo e strangolare, riversando su di esso ogni responsabilità, anche quando si limita a rispondere agli attacchi.
Il caso dell’Ucraina è emblematico, quando, in una notte, un colpo di stato orchestrato dalla Cia e da Ong da essa pilotate, ha ribaltato un faticoso accordo raggiunto fra il legittimo Governo ucraino e l’opposizione, con il benestare di europei e russi. La reazione della Russia in Crimea, territorio russofono e per un capriccio di Khrushcev attribuito all’Ucraina nel 1964, è stato il casus con cui gli Usa, registi del colpo di stato, hanno montato la contrapposizione con l’Occidente.
L’unica carta rimasta alla Russia per non soccombere, è stata l’intelligente uso del rinato strumento militare usato per riportarsi al centro dello scenario eurasiatico. Lo si è visto in Siria, dove il riacquisito ruolo politico di Mosca ha rintuzzato i programmi di Washington.
E poi, se non sfacciatamente strumentale, quale senso ha tacciare la Russia di militarismo e di minaccia alla pace mondiale, se il Cremlino nel 2015, assediato com’era, ha destinato alla spesa militare 66,4 Mld di dollari a fronte dei 596 spesi dagli Usa e degli 87,2 (!) dai sauditi, che una bugiarda vulgata occidentale continua a considerare “moderati” malgrado li abbiano spesi per bombardare civili yemeniti e saturare di armi terroristi di ogni latitudine.
In conclusione, la contrapposizione fra Usa e Russia è frutto della collisione fra la volontà di egemonia globale di Washington e la multilateralità che si sta affermando in Eurasia, di cui Mosca è espressione peculiare, e l’unica giudicata al momento obiettivo possibile, perché Pechino, con il suo potenziale economico (malgrado i suoi squilibri) e i suoi 215 Mld di spese militari nel 2015, necessita ormai di un diverso approccio.
di Salvo Ardizzone