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Usa, detenuti scioperano contro la schiavitù carceraria

Sono centinaia i detenuti che negli Stati Uniti hanno protestato contro la loro schiavitù, attivando forse il più grande sciopero della storia americana. Vi hanno aderito i detenuti di 17 Stati, che dal 21 agosto fino al 9 settembre si asterranno dal lavoro o metteranno in atto scioperi della fame, sit-in e opere di boicottaggio.

detenuti-UsaUomini e donne delle prigioni il 17 agosto hanno deciso di non essere schiavi, iniziando lo sciopero nel 47° anniversario dell’uccisione nel 1971 nella prigione di San Quentin, in California, di George Jackson, scrittore e militante del movimento Black Panther. Nell’insurrezione del 1971 del carcere di Attica, nello Stato di New York, persero la vita 29 prigionieri e 12 guardie carcerarie. Le proteste nelle carceri americane non sono infatti nuove, hanno una radicale connotazione razziale e hanno vissuto la loro più intensa stagione negli anni Settanta. Atto di disobbedienza civile estremamente coraggioso, considerati i vari modi che le autorità carcerarie hanno per pretendere le punizioni: isolamento, taglio delle comunicazioni con l’esterno, divieto dell’ora d’aria e di ogni altro piccolo privilegio di cui godono i detenuti.

La protesta è sorta in risposta alla “insensata insurrezione” come viene definita nel comunicato stampa dei promotori, che in aprile ha causato al Lee Correctional Institution, in South Carolina, la morte di sette detenuti appartenenti a bande rivali costretti nelle stesse celle. L’origine di tutto nasce soprattutto dal sovraffollamento e dallo sfruttamento delle carceri statunitensi, in cui è internato in termini assoluti e relativi il numero maggiore di detenuti al mondo: secondo i dati del dipartimento di Giustizia, nel 2016 erano 1.706.800, di cui il 41,3% afroamericani e il 21,1% ispanici, due minoranze che insieme raggiungono il 13,3% della popolazione totale, attualmente superano i due  milioni.

I detenuti sanno bene che nessuna prigione può funzionare senza il lavoro obbligatorio di molti dei 2,3 milioni di detenuti, che svolgono quasi tutti i lavori nelle carceri, compresi il bucato, la manutenzione, le pulizie e la preparazione del cibo. Alcuni detenuti guadagnano soltanto un dollaro per un intero giorno di lavoro; in Stati come l’Alabama, l’Arkansas, la Georgia, la Carolina del Sud e il Texas, la cifra scende a zero.

Le carceri in America sono un affare enorme e redditizio

Se i detenuti guadagnano poco niente, allo stesso tempo, le grosse imprese sfruttano un milione di persone che lavorano nelle fabbriche del carcere dove costituiscono il personale dei call center o fabbricano mobili da ufficio, scarpe, vestiti o che gestiscono mattatoi o aziende di allevamento ittico. Gli appaltatori delle prigioni private sono aziende che valgono miliardi di dollari ed hanno entrate annuali che arrivano a due miliardi di dollari. Secondo l’Economist, nel 2016 dalla vendita dei loro prodotti lo Stato federale ha guadagnato 500 milioni di dollari. Quest’estate, l’impiego durante gli incendi in California di duemila detenuti “volontari”, allettati da un misero aumento salariale e da qualche beneficio carcerario – ma secondo molti non ben informati riguardo ai rischi – ha sollevato anche nell’opinione pubblica dubbi sull’opportunità di un compenso dignitoso almeno per i lavori a così alto rischio.

Detenuti: modalità dello sciopero e richieste

I detenuti si rifiutano di eseguire i lavori nelle carceri, fanno lo sciopero della fame o boicottano gli spacci da cui si traggono profitti, nel tentativo di abolire l’ultimo fortino di schiavitù legalizzata in America. Gli scioperanti hanno stilato una lista di richieste: chiedono la fine della schiavitù carceraria, la tariffa minima come paga, il diritto di voto, condizioni di vita decenti, la fine all’interno delle carceri della discriminazione razziale, tirocinio formativo e professionale, la fine della pena di morte e dell’ergastolo.

di Cristina Amoroso

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