USA. Caso Sgrena: “Non volevano che tornasse viva in patria”
Sono passati ormai otto anni dall’uccisione di Nicola Calipari, durante il rilascio di Giuliana Sgrena, giornalista de “il Manifesto”, rapita da miliziani mentre si trovava nella zona universitaria di Baghdad. La richiesta da parte dell’organizzazione, rivolta al governo italiano, fu quella di ritirare le truppe dall’Iraq. La giornalista nei giorni seguenti apparve su un video, in cui chiedeva al suo compagno, Pierluigi Scolari, di mostrare le foto dei bambini colpiti dalle cluster-bomb (o bombe a grappolo) gettate dagli statunitensi e inoltre, ribadisce di non recarsi in Iraq.
Dopo trenta giorni dal rapimento, un accordo con i servizi segreti italiani, porta alla liberazione di Giuliana. Durante il trasferimento all’aeroporto, però, l’auto viene colpita da centinaia di colpi di mitragliatrice sparati dai soldati statunitensi, all’interno si trovavano anche Nicola Calipari, l’agente segreto che morì colpito in testa da un proiettile.
Ancora oggi la ricostruzione americana sostiene che l’auto andava ad alta velocità e che non si sia fermata al posto di blocco, costringendo i soldati americani ad aprire il fuoco, ed affermando che non erano a conoscenza del trasferimento della giornalista. La Sgrena afferma che non c’era nessun posto di blocco, e soprattutto dichiara che i sequestratori l’avvisarono dicendogli che gli “statunitensi non volevano che tornasse viva in patria”.
Ci sono ancora molti vuoti sull’accaduto, malgrado venne istituita negli Stati Uniti una commissione d’inchiesta. L’unica cosa certa è che a sparare a Nicola Calipari fu Mario Lozano, americano addetto alla mitragliatrice, ma per il resto ci sono ancora molti dubbi sulla verità dei fatti.