Un’Italia con il cappio al collo muore in silenzio
A Barzanò, in provincia di Lecco, un pensionato settantenne, separato, non ce l’ha fatta più e s’è impiccato nell’abitazione da cui stava per essere sfrattato; a scoprire il corpo non è stato un vicino, un parente, un amico, qualcuno che per lui potesse avere un pensiero, un’umana partecipazione per quel gesto estremo, ma l’ufficiale giudiziario giunto per sfrattarlo. È una notizia come tante, come troppe in questi tempi maledetti, ma il pensiero di quell’uomo, solo nella sua disperazione, che sente il bisogno di lasciare una lettera di scuse ai suoi familiari per non essere riuscito a trovare una soluzione ai suoi problemi ci ha toccato. Ci è sembrata il terribile simbolo di questi giorni; di questa crisi che è assai più che economica, perché investe e travolge vite, rapporti, valori semmai ne sono rimasti.
Che società è quella in cui casi del genere sono all’ordine del giorno? Che società è quella per cui gli uomini sono numeri di una pratica, oggetti senz’anima né sentimenti?
A questa notizia ci prendono tristezza e rabbia insieme: tristezza per tutti i deboli piegati e spezzati da una società cieca ed egoista, preoccupata solo di se stessa, del proprio benessere e del proprio piacere; rabbia per tutti quelli, e sono davvero tanti, che ingrassano sulle disgrazie altrui; che dinanzi al dolore degli altri rimangono indifferenti; che, invece di agire per rimediare ad una situazione divenuta da tempo inumana, se ne infischiano cinicamente, badando solo al proprio tornaconto.