Ungheria, un esempio di sovranità nazionale
L’inverno scorso una fitta campagna mediatica si è scagliata nel cuore della Mitteleuropa, in Ungheria, al fine di neutralizzare un inatteso tentativo di riaffermazione della propria sovranità nazionale da parte di uno dei ventisette Stati dell’Unione europea. Le scelte del governo del premier Viktor Orbán sono apparse come un gesto di insubordinazione nei confronti delle rigide, fredde direttive che gli organi sovranazionali tentano oggi di imporre costantemente agli esecutivi nazionali. Il tricolore magiaro sormontato dalla corona di Santo Stefano è tornato a sventolare fieramente nel cielo plumbeo di Budapest, per affermare una sovranità nazionale che favorisce il popolo e terrorizza i banchieri.
Il primo gennaio 2012 è entrata in vigore la nuova Costituzione ungherese, voluta dal governo di Viktor Orbán ed approvata nell’aprile scorso dal Parlamento (dove il partito di governo Fidesz gode di due terzi della maggioranza). La nuova Carta, redatta con accenti che rievocano antichi lustri d’identità nazionale, è contraddistinta da una serie di provvedimenti che mirano a ricostruire un potere sovrano. Al suo interno spiccano tuttavia misure controverse, che hanno generato malumori giacché limitative di alcune, definite da molti “derive etiche” e da altri “libertà individuali”. In nome della tradizione cristiana, cemento dell’unità e motore dello sviluppo storico dell’Ungheria, l’esplicita frase iniziale “Dio benedica gli ungheresi” indica l’assetto culturale su cui si basa tutto l’impianto della nuova Costituzione. L’embrione, anzitutto. La nuova Carta lo considera un essere umano fin dal suo concepimento, così sgomberando il campo della discussione sulla liceità dell’aborto da equivoci derivanti dal mese di gravidanza. Il matrimonio, poi. E’ autorizzato espressamente solo quello tra un uomo e una donna. Inoltre, le comunità religiose che potranno beneficiare di sovvenzioni pubbliche vengono portate da300 a14, un taglio che va a discapito solo di ristrettissime minoranze e che consente cospicui risparmi per le casse dello Stato, dunque per la comunità tutta. Sempre a vantaggio del popolo ungherese, spunta una norma che fissa per tutti l’aliquota fiscale al 16% (attualmente l’Ungheria, con il suo 27% di valore normale dell’aliquota, è il Paese dell’Unione europea con la percentuale di imposta più alta). Le misure in ambito economico sono proprio quelle che maggiormente preoccupano l’estero, rappresentato soprattutto in questa campagna anti-ungherese dalle lobby della finanza, colpite nei loro interessi particolari dalla svolta costituzionale di Viktor Orbán. Con la nuova Carta, infatti,la Banca centrale ungherese dipende direttamente dal governo: il Primo ministro sceglie i suoi assistenti, inoltre sei dei nove membri del consiglio monetario della Banca centrale sono nominati dal Parlamento. Questo cambio di registro non fa che complicare i già tormentati rapporti trala Banca centrale ungherese e agenti esterni della finanza, ovvero Fondo Monetario Internazionale e istituzioni finanziarie europee. Un anno fa il sistema bancario internazionale è entrato ufficialmente in rotta di collisione con l’Ungheria. In quel periodo, per arginare la crisi derivante dal debito pubblico più alto in un Paese dell’Est-Europa, il governo Orbán ha favorito i suoi cittadini che avevano contratto un debito con le banche in valuta straniera svalutando forzosamente la moneta nazionale. Lo strappo ha generato una svalutazione del fiorino ungherese di circa il 23%, di oltre il 12% se in euro. Ciò significa che occorrono meno fiorini per ripagare il debito, di fatto la svalutazione si trasforma in uno sconto. Come se non bastasse questa rivoluzionaria riforma finanziaria, si è imposto per legge che la differenza tra il valore nominale del cambio monetario e quello reale venga imputato agli istituti di credito che sono detentori dei debiti.
Quella manovra approvata a Budapest nel settembre 2011 ha creato intorno all’Ungheria uno stuolo di nemici acerrimi facenti capo all’alta finanza, molto temibili per via del loro indiscutibile potere economico e pronti a sferrare un agguato non appena si fosse presentata occasione propizia. Solo a gennaio, un’ondata di costernazione popolare contro la nuova Costituzione – fisiologica in ogni Paese democratico, specialmente in tempi di crisi – è diventato lo strumento che questi nemici hanno iniziato a brandire all’indirizzo dell’Ungheria. La stampa occidentale finanziata dal grande capitale trasformava così la pur partecipata manifestazione di dissenso in riva al Danubio dello scorso 2 gennaio in “oceaniche sfilate di massa”, tacendo invece su un consenso equivalente al 52,7% dei voti che hanno consentito ad Orbán e al suo governo, nell’aprile 2010, di insediarsi. Ma non solo. La stampa occidentale, pur di diffamare il presidente magiaro e il suo governo, rispolvera anche l’evidentemente mai sopito (dalle coscienze di certi intellettuali) nostalgismo vetero-marxista. Ecco che una colpa di Orbán diventa quella di aver nominato personalità nuove in settori dirigenziali della cultura, sinora monopolio assoluto di ristrette cerchie legate al cupo passato comunista del Paese. Un’altra colpa? Quella di voler rimuovere la statua, piazzata proprio davanti al Parlamento, del poeta di origini rumene Attila Jozef, celebre cantore dell’ideologia marxista. La quale ideologia marxista – è bene ricordarlo agli smemorati – ha causato all’Ungheria, durante la sola insurrezione ungherese del 1956, l’orrore di 2.652 morti e 250.000 feriti (il 3% di tutta la popolazione).
Intanto, la guerra contro l’Ungheria si muoveva anche su altri fronti, oltre a quello giornalistico. Le speculazioni finanziarie che hanno colpito il mercato ungherese sortivano effetti devastanti. Standard & Poor’s, a seguito delle dinamiche borsistiche che hanno sfavorito Budapest, definiva il rating (l’affidabilità economica) dell’Ungheria uno “junk”, ossia spazzatura. In campo politico, invece, era l’Unione europea che faceva la sua parte, minacciando il Paese magiaro di sospendere gli aiuti economici dopo l’entrata in vigore della nuova Costituzione.
Dal canto suo, nonostante i mesi roventi appena trascorsi, il governo di Orbán non sembra intimorito e invita la Commissione europea e gli istituti finanziari internazionali al dialogo. Sono attesi sviluppi nei prossimi giorni per quanto concerne gli aiuti del Fondo monetario internazionale. Nelle scorse settimane il premier ungherese aveva bollato come “irricevibili” una serie di condizioni che sarebbero state poste dal Fmi. “Nuovi sviluppi su questa materia – ha aggiunto Orbán – sono attesi dopo la riunione annuale del Fmi in corso a Tokyo”. L’Ungheria è pronta a sedersi al tavolo delle trattative, vantando un inconsueto atteggiamento, quello di rivolgersi ai suoi interlocutori del mondo finanziario a fronte alta.
di Federico Cenci