Una pugnalata che Erdogan pagherà a caro prezzo
La crisi in Siria ha subito un’ulteriore accelerazione: alle 08.30 di martedì (laggiù erano le 09.30) un caccia-bombardiere russo Su-24M in volo presso il confine è stato abbattuto da un missile turco; i due piloti si sono lanciati su un territorio controllato dai “ribelli”; mentre scendeva appeso al paracadute, uno di essi è stato ucciso dal fuoco di una banda di terroristi, la sorte dell’altro non è ancora chiara.
Immediatamente, dalla base aerea di Hmeymin, nell’area di Latakia, sono partiti due elicotteri di soccorso per recuperare l’equipaggio; uno di loro, un Mi-8, è stato danneggiato dal fuoco dei “ribelli” e costretto a un atterraggio di emergenza in un’area controllata da Damasco. Un fante di marina del team di ricerca è rimasto ucciso. Il secondo elicottero ha preso a bordo gli altri elementi ed è rientrato alla base.
Lo Stato Maggiore russo ha dato il via ad una seconda missione di salvataggio a sera ancora in corso, stavolta con il massiccio coinvolgimento di spetsnaz e di elicotteri pesanti d’attacco Ka-52. Fin qui i fatti, che sono in continua evoluzione.
Da parte di Ankara ci sono state una sequela di dichiarazioni e reazioni, stranamente tempestive e che presentano alcune discordanze. Secondo il Ministero della Difesa, il Su-24M avrebbe violato lo spazio aereo turco e, malgrado ben 10 avvertimenti nel corso di 5 minuti, non si sarebbe allontanato provocando la reazione di due F-16 di pattuglia che l’hanno abbattuto.
Dalla Turchia è subito partita una richiesta per l’immediata convocazione di un Consiglio atlantico della Nato tenutosi alle 17; al termine, il Segretario Generale Stoltenberg ha invitato alla “calma ed alla de-escalation”, praticamente un nulla di fatto dettato dalla massima cautela nel trattare un fatto potenzialmente esplosivo. Contemporaneamente una lettera è stata inviata al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ove si dice che l’aereo russo ha violato i cieli turchi per 17 (!) secondi prima di essere abbattuto (e i 10 avvertimenti lanciati per 5 minuti?).
Obama, che si trovava a colloquio con Hollande, da parte sua ha subito dichiarato che la Turchia ha il diritto di difendere il proprio territorio (da quale attacco?) e che la Russia deve spostare i propri obiettivi, cessando di colpire i “ribelli anti-Assad” (ma che c’entra con lo sconfinamento?).
Dopo un primo momento di cautela, la reazione russa non s’è fatta attendere; il Ministero della Difesa russo ha prima messo in chiaro le cose: il Sukhoi, che stava rientrando alla base di Hmeymin dopo una missione, è stato intercettato in territorio siriano ad un’altezza di circa 6mila metri; l’analisi dei dati dimostrerebbe che lo spazio aereo turco non è mai stato violato. Inoltre, sulla base dei tracciati radar, l’F-16 che ha effettuato l’abbattimento ha violato lo spazio aereo siriano e non ha mai tentato di entrare in contatto con l’aereo russo.
Subito dopo, il Ministero della Difesa ha definito l’accaduto un atto ostile ed ha annunciato tre cose: l’incrociatore lanciamissili Moskva viene spostato verso Latakia per rafforzare la difesa aerea, sottolineando che qualsiasi potenziale nemico sarà abbattuto; d’ora in poi tutti gli aerei d’attacco saranno scortati da caccia; infine, tutti i contatti militari con la Turchia sono interrotti. In poche parole, da questo momento il dispositivo russo, basato sugli S-300 della Flotta e sui caccia della Vvs, cala una cortina sui cieli siriani; chiunque, appartenente alla “coalizione” a guida Usa o meno voglia volarvi, potrà farlo solo col permesso di Mosca pena finire in briciole nei cieli.
Nel frattempo, la visita che il ministro degli Esteri Lavrov avrebbe dovuto compiere oggi in Turchia è stata annullata, ma la dimensione della crisi emerge dalle parole con cui Putin s’è riservato di commentare l’accaduto, durissime: dinanzi al re Abdallah di Giordania in visita a Soci, ha detto che “è stata una pugnalata alle spalle da parte dei complici del terrorismo” e che il fatto “avrà conseguenze tragiche nei rapporti fra Russia e Turchia”.
Conoscendo l’uomo, non ci saranno reazioni isteriche, non cadrà nella trappola di Erdogan rispondendo alla colossale provocazione con un’azione militare diretta, ma di strumenti per ribattere ne ha tanti. Intanto c’è il gas: a parte la fine del sogno di divenire l’Hub per il gas russo e centroasiatico diretto in Europa, Ankara importa il 57% del suo fabbisogno dalla Russia, se Mosca chiudesse il rubinetto la Turchia sarebbe in guai. Assai seri, perché il suo secondo fornitore è l’Iran, da cui dipende per il 20% e con cui i rapporti sono sempre più tesi proprio per la questione siriana. Né troverebbe aiuto dal suo terzo fornitore, l’Algeria, da cui proviene l’8% del gas ma che, anche per motivi interni, vede sempre peggio il fondamentalismo ispirato alla Fratellanza Musulmana di Erdogan.
Al contempo, Putin potrebbe armare seriamente i curdi del Ypg e del Pkk (ve li immaginate quei miliziani equipaggiati con gli ottimi sistemi contraerei russi, e non solo?), per il Presidente/Sultano sarebbe un disastro incalcolabile.
Ma allora, cosa ha convinto Erdogan a un simile colpo di testa?
La risposta è già nello svolgersi dei fatti: il sogno di destabilizzare e spartirsi l’area grazie a bande di assassini prezzolati è al tramonto. Arabia, Turchia, Qatar, Emirati, Israele, con gli Stati Uniti dietro, vedono gli aerei russi spianare la strada all’Esercito siriano affiancato dalle milizie sciite. E in Iraq, anche se i media non lo riportano, sta avvenendo lo stesso; anche laggiù le bande dell’Isis sono in rotta.
Il fronte degli sponsor del Terrore sta vedendo materializzarsi il suo incubo peggiore: un’area che troverà il suo equilibrio nella sua naturale sistemazione, con l’Iran al centro e la Russia con un peso politico crescente. E non è finita: gli sviluppi della lotta al terrorismo stanno avvicinando l’Europa a Mosca; un pericolo insopportabile per gli Usa.
Di qui il tentativo disperato: mandare avanti Erdogan in una irresponsabile provocazione alla Russia, nel tentativo di far degenerare la situazione e tirare in ballo la Nato col suo articolo 5. In fondo a Obama una guerra non serve (anche se ci sta giocando cinicamente), basta aumentare la tensione e impedire quel ravvicinamento che manda in fumo l’ottimo “lavoro” fatto con la crisi Ucraina. Un risultato lo ha comunque ottenuto: il più che probabile addio al Turkish Steam, con cui l’Europa avrebbe potuto soddisfare le sue esigenze di gas bypassando l’Ucraina e il suo disastro.
E c’è un altro incubo che Obama e i suoi “alleati” del Golfo vogliono impedire: che con la stabilità del Medio Oriente, da Iran e Russia il gas arrivi comunque nel Mediterraneo, ma sulle coste siriane e libanesi. Per il Golfo l’ennesima sconfitta che lo renderà sempre più debole e marginale, come per Erdogan, che sta conducendo la Turchia alla rovina.
Ma piaccia o no ai tanti sponsor del Terrore, dai fatti emerge che stragi e provocazioni sanguinose stanno solo ottenendo l’accelerazione del processo che sta ridisegnando il mondo. Ed era tempo.