Una lode all’Etna
Che cosa fisserei, qualora tu, non ci fossi?
Come sarebbe, il crepuscolo delle ore di Dio
spoglio di quella tua mantella, colore talco?
Come sarebbe, il firmamento, all’oscurità,
qualora, non ci fossero, i tuoi stratagemmi di roghi e falò
maculati di fulvo e arancio?
A quale ventura muoverebbe, il mio tallone,
qualora, non ci fossero, i tuoi sentieri e le tue mulattiere
che la Luna impallidisce, al tempo delle tenebre,
e il Sole irradia, al tempo delle fate ([1])?
Sentieri ombreggiati dalla betulla
e mulattiere picchiettate dalla ginestra (2).
A quale ventura muoverei?
Eppure, ci sei.
Questo imploro, giacché, questo, m’abbisogna (3).
(2) Da conoscitore delle bellezze naturalistiche del territorio, l’autore immette richiami di specie facilmente osservabili, non celate dalle selve naturali.
(3) L’inizio e la fine della lode gareggiano da diversi: l’introduttiva valutazione dell’assenza cede il passo, dopo l’intermezzo, al conclusivo raffronto della realtà. Il vulcano c’è e l’abbaglio in cui si è indotti è superato: l’animo si acquieta.
di Alessandro Montalto