Un ex guerrigliero del “Farabundo Martì” è il nuovo Presidente del Salvador
L’ex guerrigliero Sanchez Ceren è il nuovo Presidente del Salvador, l’ha spuntata al ballottaggio su Norman Quijano, il candidato dell’Alleanza Repubblicana Nazionalista (Arena); ce l’ha fatta per un soffio (50,11% dei voti contro il 49,89) ma ce l’ha fatta: il Tribunale Elettorale Supremo ha ratificato la sua elezione, rigettando le proteste di brogli dell’Arena.
Nel piccolo Paese Centroamericano, le ferite della guerra civile durata 12 anni (dal 1980 al 1992, con 75mila vittime e migliaia di desaparecidos fra i pochi milioni di abitanti) non sono ancora rimarginate e lo spaccano ancora in due: da un lato gli eredi del Fronte Farabundo Martì per la Liberazione Nazionale, che con la firma degli accordi di pace si costituì in partito, dall’altro il vecchio blocco di potere degli agrari, industriali e alta borghesia coi loro fiancheggiatori, che guardano agli Usa.
Ma di unità e sviluppo il Salvador ha bisogno: con un Pil superiore ai vicini e più grandi Honduras e Nicaragua ed una crescita nel 2013 del 2,3% (prevista al 2,6 per il 2014) non è messo troppo male nel difficile quadro dell’area, ma deve fare i conti con profondi squilibri sociali e vaste sacche di povertà che ancora persistono.
Il Fronte è al potere dal 2009; il passato governo del giornalista Mauricio Funes (in cui Ceren è stato Vice Presidente) ha provato a mettere mano a un difficile programma di riforme che subito ha fatto strillare gli avversari. Ora il voto popolare ha portato al potere per la prima volta un ex guerrigliero che ha combattuto nella selva, quando era conosciuto come il “comandante Leonel Ganzalez”, uno dei firmatari dell’accordo di pace che pose fine alla mattanza della guerra.
La sfida che ha dinanzi è pesante, e dovrà governare un Salvador diviso fra gli interessi di chi è ancora svantaggiato e ha poco o nulla, e chi vuole mantenere i privilegi, pochi o molti che siano, e si è aggrappato a tutto per ribaltare l’esito del voto, deciso da appena 6.634 preferenze.
Ora dovrà cercare di portare a compimento le politiche sociali messe in atto dall’ex Presidente Funes, ostacolato in tutti i modi dagli avversari dell’Arena, che accusano il Fronte di scendere a patti coi gruppi criminali del Paese.
A parte le polemiche ovvie, di chi non riesce ad imbastire uno straccio di piattaforma politica alternativa che non sia il solito refrain sulla sicurezza, l’ordine e il “pericolo comunista”, non sarà comunque facile per Sanchez portare a compimento il suo lavoro.
La sua vittoria è comunque l’ennesimo segnale che, anche nel “giardino di casa” della Superpotenza, i popoli e gli emarginati possono fare sentire finalmente la loro voce.