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Ucraina: aspettando la diplomazia la Russia si “muove”

di Salvo Ardizzone

Le fiamme degli incendi si sono spente e l’Ucraina che ha vinto (perché ce n’è un’altra che è rabbiosa e affila le armi per la rivincita) s’interroga sul che fare dopo la vittoria (e più di lei la comunità internazionale che ha ora una patata bollente da gestire). I più storditi son quelli che nelle piazze fronteggiavano una polizia minacciosa, che improvvisamente s’è squagliata, perché d’un golpe s’è trattato, magari riuscito oltre le previsioni, ma d’un golpe, che ha fatto evaporare le resistenze (che c’erano e rimangono tutte) nel momento culminante del confronto. Ma la storia verrà scritta poi, veniamo all’oggi.

Il Paese è stremato: ha un Pil fra la Svizzera e l’Austria con 45 ml di abitanti, in forte decremento addirittura dal ’90 (quando ne contava 51,5) per le disastrose condizioni economico-sociali, che contraggono la natalità e spingono l’emigrazione. Avrebbe bisogno di massicci investimenti per trasformare le infrastrutture fatiscenti, e pur essendo ricco di carbone (ma chi lo vuole più in un mondo che va a gas e petrolio?), è costretto a importare gas dalla Russia: 40,5 Gmc nel 2011, in crescita negli anni successivi. Certo, ha scoperto notevoli quantità di shale gas, ma senza capitali (e grossi) restano dove stanno. In più, e questa è la cosa più importante, è spezzato in due: la faglia che taglia l’Europa ad est, dividendola fra l’influenza di Mosca e il resto dell’Occidente, qui non passa dai confini del Paese, ma lo separa in due, con un est che guarda alla Russia e un ovest che guarda a Bruxelles con messianica aspettativa come a un Eldorado.

In queste ore l’uomo del Kremlino è in silenzio, preso in contropiede da avvenimenti precipitati in modo inaspettato, mentre si crogiolava del successo mediatico di Sochi. Ma parla, e tanto, con i minacciosi spostamenti di truppe e sui canali riservati della diplomazia, con Obama e con la Merkel, per mettere in chiaro le cose.

Per Putin l’Ucraina è essenziale; la ricostruzione dell’impero cui ha messo mano, senza di lei è un progetto monco e velleitario, e mai potrebbe accettare di perdere la Crimea (che ucraina non è mai stata, le è stata graziosamente “donata” da Kruscev nel ’54) con la base di Sebastopoli, vitale per la flotta russa. A Mosca si vogliono rassicurazioni, e chiare, su cosa voglia fare l’Occidente nelle cui braccia sembra caduta una Nazione che non ha neanche cercato troppo.

E qualcosa dovrà pur fare: l’Ucraina era già a un passo dal default (ora il Ministro ad interim delle Finanze Yuriy Kolobov, parla di addirittura 25 mld di $ necessari entro l’anno e altri 10 subito dopo!); la produttività del sistema, arcaico e obsoleto, è ai minimi, e se dovesse pagare a prezzo corrente il gas russo (non parliamo neppure se dovesse interrompersi il flusso) per superare il suo freddo inverno, potrebbe già chiudere i battenti, con fabbriche ferme e abitazioni al ghiaccio. I 15 mld di $ buttati sul tavolo a novembre insieme a un forte sconto sulle forniture energetiche sembravano aver chiuso la partita, ma Putin, uomo gelido del Kgb nelle cui mani è il rubinetto di quel gas vitale, non aveva fatto i conti con i sogni della gente, che nelle piazze ha sparigliato i giochi che sembravano fatti.

Ora resta da gestire il dopo, e a costo di sembrar cinici, crediamo che molto si comprenderà dello sviluppo ultimo degli eventi, e soprattutto di quelli futuri, da chi sarà più solerte a dare una mano.

La Tymoshenko si guarda bene dal gestire la transizione, ponendosi come icona del domani; Bruxelles è costretta a tener botta e prepara aiuti con lo sblocco immediato di 2 mld di euro (quanto serve ad evitare l’immediato default) e il Fmi per bocca della Lagarde studia aiuti finanziari, ma “legati a riforme economiche”: e qui cominciano i dolori per gli speranzosi ucraini.

L’Accordo di Associazione, il cui rinvio è stato il detonatore alle proteste, non è adesione e tanto meno ingresso a pieno titolo nella Ue; inoltre, l’entrata dell’Ucraina in un mercato di 500 ml di consumatori, seducente a prima vista, nell’immediato sarebbe un frutto tossico per un sistema produttivo incapace di competere all’estero, inefficiente e viziato da un’altissima corruzione. In poche parole, sul breve periodo, gli Ucraini starebbero peggio di prima e dovrebbero trangugiare molte medicine amare prima dell’”Eldorado” d’Europa.

Il che non significa che un Paese come l’Ucraina debba rassegnarsi a star seduto, sospeso fra il limbo d’un remoto passato nell’Urss e della sua “non” economia, e il liberismo imperante nella Ue. Dovrà comunque darsi una scossa, mettendo a frutto la possibilità, e questa vera, che ha d’esser cerniera fra Oriente e Occidente.

L’Ue e gli Usa, da parte loro, dovranno rassicurare la Russia (e tanto) che questo non significa contrapposizione o sfida; Putin ha già richiamato l’ambasciatore, fa muovere gli uomini della flotta in Crimea e occupa aeroporti che possono servire a molte cose: evacuare gente compromessa, far entrare personale o più semplicemente tener aperte le porte di una zona vitale. Nel 2008 ha fatto una guerra in Georgia per meno, e l’Ucraina, come detto, conta molto nel Grande Gioco delle Nazioni. E chi ha vinto (almeno per ora), dovrà avere l’intelligenza di non voler stravincere su quell’altra metà di Ucraini che guadavano e guardano ancora a Est. Un Paese spezzato in due porterebbe solo a nuovi guai e a nuovi lutti; le occupazioni di edifici pubblici da parte di gruppi armati, il blocco di aeroporti e le continue manifestazioni son già avvisaglie che si vanno moltiplicando.

Certo, è da mettere in conto la disillusione di quanti speravano che i fuochi delle Piazze Maidan d’Ucraina, avessero consumato i problemi del Paese, mentre si è solo all’inizio, e le difficoltà del dopo saranno benzina sul fuoco per i filo russi. Possiamo sperare (badate, solo sperare) che chi verrà a prendere il timone abbia almeno un minimo di saggezza, perché al confronto di ciò che potrebbe accadere, quanto è già avvenuto è assai poco.

Ultima notazione: nel massimo momento della crisi, chi ha afferrato il telefono per parlare a nome dell’Europa a un Putin saturo di rabbia è stata ancora e sempre Frau Merkel. I rapporti di forza son quelli che sono, e non siamo tanto stupidi da non comprenderlo; ma se in Europa non c’è una credibile voce comune (lasciamo perdere i perché, è un fatto), il sistema Italia, con tutti gli interessi (Eni in testa) che ha e che continua a sviluppare in Russia, uno straccio di posizione autonoma e non per delega, sarebbe stato imperativo averla. Ma scusate, questo in un Paese normale, non purtroppo nel nostro.

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