Uccisione Lo Porto: almeno questa volta lo hanno detto
Giovanni Lo Porto era stato rapito nel gennaio del 2012, insieme al suo collega Bernd Muehlenbeck; erano a Multan, in quella terra di nessuno fra Afghanistan e Pakistan, quando il clan Haqqani li ha sequestrati.
Il tedesco è stato liberato nel dicembre scorso, pare dopo il pagamento d’un riscatto; per Giovanni, che era stato “venduto” a un altro gruppo qaedista, la vita s’è fermata il 15 gennaio, quando un drone, a caccia di Ahmed Farouk, il numero due di al-Qaeda nel subcontinente indiano, ha lanciato i suoi Hellfire distruggendo la casa in cui era tenuto prigioniero insieme a un altro cooperante, l’americano Warren Weinstein.
L’ennesimo “danno collaterale” della campagna d’annientamento condotta fino al 25 marzo scorso dal capo del Centro Antiterrorismo della Cia, conosciuto solo con l’appellativo di Rogers, sbrigativamente esautorato dal nuovo direttore dell’Agenzia, John Brennan, secondo diverse fonti su mandato di Obama.
La notizia dell’”errore” ha tardato ad emergere anche per i vertici Usa, visto che il Waziristan Settentrionale, nelle aree tribali pakistane, è un’area off limits; ma è un fatto, come ha riportato il New York Times senza essere smentito, che il 17 aprile, quando il nostro Premier era a Washington, Obama ne era già a conoscenza e lo avrebbe taciuto.
D’accordo: è la prima volta che un Presidente Usa ammette un errore e chiede pubblicamente scusa, togliendo pure il segreto di Stato su un’operazione “coperta” per renderne pubblici i particolari. In passato, e ancor più ai tempi dell’era Bush, sarebbe stato fantascienza. Resta il fatto che Obama, mentre rispondeva no alle richieste di aiuto di Renzi sulla Libia, l’ammoniva rudemente sulle sanzioni alla Russia, gli imponeva il prolungamento della missione italiana proprio in Afghanistan e gli parlava pure dell’acquisto degli F-35, gli nascondeva la morte di Lo Porto.
L’ha fatto per evitare reazioni? Per continuare a coprir la cosa? Francamente ne dubitiamo, non avrebbe alcun senso alla luce delle ammissioni di colpa rese solo una settimana dopo. Sarà pure vero che “ufficialmente” ha telefonato al Premier italiano mercoledì scorso, ma Renzi, tramite i nostri Servizi, qualcosa sapeva già da prima (gli americani, come avrebbero potuto compiere la prova del dna sui resti senza una qualche collaborazione?), e di qualcosa avranno pur parlato nel faccia a faccia che hanno avuto quando hanno congedato i rispettivi accompagnatori. Il fatto è che tirar fuori la vicenda in quel contesto, avrebbe guastato il clima patinato dell’incontro.
È assai più probabile che Obama, dopo aver imposto quel che gli interessava senza nulla concedere, abbia permesso all’ospite almeno di salvar la faccia, dichiarando di non averlo informato durante l’incontro. Resta tutto l’imbarazzo per la pochezza di un Premier, Renzi, che va a Washington a prendere ordini e rimbrotti ricevendo in cambio dinieghi, e tenta pure di spacciare la cosa per un successo.
Anche se in un contesto formale più felpato che in passato, la sostanza non cambia; il 25 aprile si festeggia la liberazione da un’oppressione, peccato che in troppi dimentichino che da allora, e sono passati settant’anni, di sudditanza, di perdita di sovranità, di dominio altrui insomma, ne cominciò un altro che dura ancora.