Asia

Arabia Saudita: storie di ragazzi e malati di mente giustiziati dal regime

di Lucia Colandrea

Il 2016 inizia con l’annuncio dell’esecuzione di 47 condanne a morte. Tra le vittime il noto shaykh Nimr al-Nimr. La sua morte ha suscitato proteste in tutto il Paese e all’estero. In Iran alcuni manifestanti hanno attaccato l’ambasciata saudita provocando una grave crisi diplomatica tra i due Paesi.

Ma insieme al noto shaykh sono stati giustiziate molte altre persone. La maggior parte era accusata di avere legami con al-Qaeda o di aver partecipato a presunti attacchi compiuti nel regno tra il 2003 e il 2006.

E mentre emergono particolari sulle modalità dell’esecuzione, secondo le recenti indiscrezioni raccolte dal Middle East Eye, tra le vittime ci sarebbero persone arrestate quando ancora minorenni e malati di mente.

Mustafa Abkar, arrestato a Mecca nel 2003 a tredici anni. Aveva lasciato il suo Paese, il Chad, per frequentare un corso di studi sul Corano. In base a quanto riferito in un documentario mandato in onda da al-Arabiya, il corso in realtà è servito ad addestrare dei terroristi. Abkar è stato quindi arrestato in un’ondata di arresti che ha interessato il regno in seguito agli attacchi del Maggio 2003. Abkar e non è stato mai più rilasciato e ha fatto la sua prima apparizione di fronte ad un giudice il 14 ottobre 2014 per presenziare alla sua condanna a morte. Nessuno si è mobilitato per lui. Il suo caso non ha ricevuto l’attenzione internazionale e mediatica che altri giovani prigionieri hanno ricevuto. Neanche la sua famiglia ha richiesto il suo rilascio.

Altra vittima arrestata quando ancora era minorenne è Mishal Farraj. Arrestato nel 2004 con l’accusa di essere un aspirante kamikaze. Anche a Farraj come al giovane Abkar è stato negato il diritto di avere un rappresentante legale ed è stato portato in tribunale dopo anni.

Secondo l’attivista per i diritti umani saudita Assiri, molti dei prigionieri uccisi avevano subito per anni torture e maltrattamenti fisici e psicologici. Costretti sotto tortura a confessare i reati di cui erano accusati rischiavano di essere riportati dai loro carcerieri se informavano il giudice delle torture subite.

Tra i prigionieri giustiziati anche persone che soffrivano di malattie mentali. Abdulaziz Al-Toaili’e, ex-leader di al-Qaeda, mufti e scrittore della rivista del gruppo, si dice abbia iniziato ad avere problemi mentali in seguito ai maltrattamenti subiti in prigione. Nonostante diversi appelli per la liberazione del giovane, inclusa una lettera scritta da Assiri all’Unhcr, Toaili’e è stato condannato a morte per brigantaggio.

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