Turchia, l’asse con l’Ucraina rimane strategico
di Salvo Ardizzone
Per la Turchia, malgrado le tensioni con gli Usa sulla Siria e il riavvicinamento a Putin, l’asse con Kiev e con i terroristi del Caucaso rimane più che mai strategico.
A dispetto degli screzi con Washington per la sua alleanza con i curdi e le diverse visioni sulla Siria, e il forzato tentativo di ricucire il rapporto con Mosca per uscire dall’isolamento, la collaborazione in chiave anti-russa della Turchia con l’Ucraina è sempre più stretta.
Con la scusa dell’elemento etnico (i tatari di Crimea e gli altri sono di stirpe turca), da tempo Ankara s’è avvicinata a Kiev; un avvicinamento divenuto più stretto di pari passo con l’intensificarsi del’intervento russo che ha distrutto le aspirazioni di Erdogan sulla Siria.
A parte rapporti economici (aiuti alla disastrata economia ucraina ed accordi fra le compagnie statali nell’ambito della Difesa), la Turchia ha sviluppato una cooperazione militare volta contro la Russia; un’intesa pienamente appoggiata dalla Nato.
Nel Donbas, a puntellare i reparti dell’Esercito ucraino e della Guardia Nazionale, accanto a mercenari e specialisti polacchi, baltici, americani e israeliani, ci sono diversi elementi provenienti dalla galassia del terrorismo che infesta il Medio Oriente, Isis compreso, che si distinguono nel fare terra bruciata.
La loro presenza non deve stupire se, come hanno rivelato fonti dell’Intelligence dei separatisti di Donetsk, si pensa che Dmitry Yarosh, ex leader di Pravy Sector e consigliere del ministero della Difesa ucraino, una delle pedine fondamentali del golpe di Euromajdan e lo stesso che aveva chiesto ai terroristi ceceni di agire contro la Russia, grazie alla copertura Usa si è recato a Baghdad per incontrare emissari del “califfo”.
Fra oligarchi che stanno divorando quanto resta dello Stato, macchinazioni della Nato e soprattutto degli Usa, e la giustificazione di una guerra che è in corso malgrado sia sparita dai media, l’Ucraina è il territorio senza legge perfetto per traffici di droga e di armi e per divenire il centro del terrorismo europeo, grazie alle coperture date dal Governo (per inciso, sono di produzione ucraina molte delle armi trovate in depositi dell’Isis in Siria, ufficialmente cedute all’Arabia Saudita e giunte lì attraverso la Turchia).
L’intervento russo in Siria, che ha messo in crisi i gruppi terroristici che vi operano e con essi le ambizioni di Erdogan, è alla base sia dell’infittirsi della presenza di takfiri e Daesh in Ucraina, che dell’intensificarsi esponenziale dell’intesa fra Ankara e Kiev. D’altronde, la Turchia non fa mistero d’aver inviato istruttori militari e reparti speciali nella regione di Kherson e a ridosso delle linee separatiste.
Inoltre, aiutando Kiev, Ankara intende bilanciare il sostegno che Mosca dà ai curdi del Pkk; un sostegno dato sia per disporre di una pedina contro la Turchia, sia per poter mediare fra le pretese curde e il Governo centrale di Damasco, e che tanto impensierisce Erdogan. E nella stessa ottica di proxy-war è da vedere il recente rinfocolarsi del conflitto fra Azerbaijan e Armenia per il controllo del Nagorno-Karabakh, alleata l’una di Ankara e l’altra di Mosca; come pure l’appoggio concesso dalla Turchia, col totale benestare di Washington, al tentativo di destabilizzare il Caucaso aiutando i terroristi, principalmente ceceni.
Per quanto riguarda l’Ucraina, come già accennato, per Ankara la motivazione etnica è la giustificazione di una strategia che fa di quelle popolazioni pedine da utilizzare a piacimento col pieno avallo di Kiev. In questo contesto, centinaia di famiglie turco-ucraine residenti nell’Est di quel Paese sono state spostate nel Sud-Est della Turchia, per tentare di inserire elementi fedeli e controllati in un territorio in mano al Pkk; allo stesso modo, sono molti i tatari di Crimea partiti per la Siria dove sono stati inquadrati nella Katiba al-Muhjireen.
Infine, in base a un documento reso noto da hacker russi che l’hanno trafugato, esiste un accordo fra Erdogan e Poroshenko per trasferire nella regione ucraina di Kherson 200mila turchi mesketi, stravolgendo gli equilibri etnici locali e facendone una regione autonoma tataro-crimeana.
Quella gente sarebbe in ostaggio a garanzia degli accordi per soddisfare le disperate richieste ucraine di aiuti economici, militari ed energetici. Ostaggi e pedine di un piano delirante volto alla destabilizzazione della Federazione Russa su base confessionale ed etnica. Un piano fallito nel Caucaso e che dovrebbe essere riproposto con lo strumentale utilizzo di consistenti minoranze militarizzate ed appoggiate dall’esterno.
Erdogan ha visto naufragare tutti i suoi piani ed ha fatto della Turchia un Paese inaffidabile ed isolato; come tanti dittatori prima di lui, per uscire dall’angolo sta intraprendendo iniziative sempre più azzardate e avventuristiche, assecondate da chi vi trova le proprie convenienze (vedi Washington) ma che gli lascia per intero il rischio sempre più concreto di un colossale disastro, che insieme a lui coinvolgerebbe l’intera Nazione.