Turchia: il “Sultano” Erdogan conquista anche la presidenza
Recep Tayyip Erdogan è il 12° presidente della Turchia, collezionando l’8° e forse più importante successo consecutivo in dodici anni contro l’opposizione laica; con il 51,7% dei voti (meno del previsto, ma sufficienti) ha vinto contro Ekmeleddin Ihsanoglu, principale sfidante, appoggiato sia dalla sinistra che dalla destra laica; al curdo Demirtas, criticato per aver spezzato inutilmente il fronte delle opposizioni, è andato il 9,5%.
Scandali a ripetizione, l’economia che comincia a scricchiolare, leggi liberticide, autoritarismo manifesto, politiche estere ondivaghe quanto spregiudicate: nulla ha scalfito la sua popolarità nel cuore profondo della Turchia a cui sa parlare come nessuno. Dopo la vittoria s’è recato nella moschea di Eyup Sultan, a Istanbul, dove i sultani si proclamavano signori dell’Impero, e lui, che ha già chiarito che intende mantenere il controllo del Paese anche nelle sue nuove funzioni, un sultano lo è praticamente: comanda da padrone su gran parte del parlamento; grazie a leggi inconcepibili sulla libertà di stampa e di comunicazione controlla la gran parte dei media; dopo aver epurato in modo scandaloso Magistratura, Polizia ed Esercito, ha fatto piazza pulita di qualunque ostacolo.
A fine mese sostituirà alla Cankaya (il palazzo presidenziale) il vecchio compagno di partito Abdullah Gul, con cui è ormai in rotta da tempo perché non ne ha accettato le critiche per le sue tante “uscite” sconcertanti; si sceglierà come Primo Ministro un fedelissimo, uno yesman che non possa fargli ombra né mettere parola sulle sue decisioni, probabilmente l’attuale ministro degli Esteri Ahmt Davutoglo.
In molti ora temono un’ulteriore deriva autoritaria, da parte di chi non fa mistero di voler rimanere a capo della Turchia almeno fino al 2023, fino al centenario della fondazione della repubblica da parte di Kemal Ataturk, accanto a cui, nei suoi sogni di grandezza narcisista, vorrebbe issarsi.
Il momento è però dei più delicati; la Turchia, per la sua collocazione e le sue relazioni, è, anzi, sarebbe un Paese fondamentale per le infinite crisi che martoriano il Medio Oriente; Erdogan ha gestito la politica estera nella maniera più spregiudicata per non voler dire peggio, continuando a saltare da un’alleanza all’altra in funzione degli interessi e convenienze meno confessabili. Prima con Israele, poi contro, ora nuovamente vicino; allo stesso modo, prima paladino di al-Assad, poi strenuo sostenitore dei “ribelli” che foraggia alla grande e così via; in questo modo la Turchia, da possibile elemento di stabilizzazione, si è tramutata in fattore di crisi.
Adesso, con la crisi siriana ancora viva e l’Iraq messo a ferro e fuoco dall’Isis (che già lancia minacce contro Istanbul, e nelle cui file il 10% dei miliziani proviene dalla Turchia) si trova con la guerra lungo vasta parte dei suoi confini. L’opposizione l’aveva più volte criticato per il suo appoggio ai gruppi armati contro Assad e contro i curdi siriani, rimanendo inascoltata, resta da vedere cosa sarà capace d’inventarsi ora.
Già nei mesi scorsi, quando era messo alle strette da uno scandalo che metteva alla luce la corruzione sua, di suo figlio e del suo entourage, prima di soffocarlo brutalmente, aveva messo in conto e organizzato un’operazione militare in Siria per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica. Non è una garanzia di sicurezza e non lascia bene sperare per il futuro.
Ultima notazione: il consenso di cui gode presso vasta parte del Paese, è anche fortemente legato al successo economico che, negli ultimi anni, la Turchia ha conosciuto, e che l’Akp (il partito di Erdogan) a dire il vero s’è solo limitato ad assecondare. Ora il meccanismo s’è inceppato, ma la suggestione nelle masse è ancora forte; tuttavia, i comportamenti sempre più irresponsabili del nuovo Presidente sembrano fatti apposta per scoraggiare investimenti e capitali.
Se dovesse continuare così, e non vediamo altra via, i problemi, e grossi, cominceranno a breve, sicché a Erdogan non rimarrà che urlare all’ennesimo complotto internazionale contro di lui, ed imbarcarsi in qualche folle avventura per distogliere l’attenzione della gente. Comunque vada finirà come sempre, con i Popoli a pagare per la follia di pochi.