Medio Oriente

Turchia e la diplomazia della guerra in Siria

Durante questa prima metà di settembre, la Turchia è stata impegnata diplomaticamente su molti fronti, confermando il ruolo ambivalente di Paese di confine, stretto tra gli impegni presi con l’Europa e la posizione di leadership che sta tentando di assumere in Medio Oriente. Il tema più caldo è quello della Siria. Il Paese situato a sud della Turchia, coinvolto da anni in una guerra che viene definita “civile”, ma che ha visto negli anni il coinvolgimento di diversi Paesi, tra cui gli Usa, la Francia, il Regno Unito, la Russia e la stessa Turchia. Quest’ultima negli anni ha portato avanti ben quattro operazioni militari in diverse regioni della Siria, appoggiando i “ribelli siriani“, contro i curdi, sia dell’Ypg che delle Syrian Democratic Force, appoggiata dall’America.

L’appoggio degli Usa alle forze curde è uno dei punti di recriminazione del governo di Ankara. Il loro Ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu ha dichiarato che “gli Stati Uniti non stanno mantenendo le promesse fatte alla Turchia in merito alla sicurezza nel nord della Siria, soprattutto a causa degli impegni precedentemente assunti con i combattenti curdi delle Unità di protezione dei popoli (Ypg)”. L’Ypg, durante la cacciata dell’Isis dalla Siria ad opera della Coalizione guidata dagli Usa, hanno assunto sempre di più un ruolo centrale. La Turchia li considera un’organizzazione terroristica, che continua a rappresentare “un problema di sicurezza” per il paese.

Turchia e la zona di sicurezza in Siria

Quello che sembra più interessare alla diplomazia turca è la creazione della “zona di sicurezza” nel nord est della Siria. “Sfortunatamente in passato gli Stati Uniti hanno fallito nel mantenimento delle promesse a causa dei loro impegni con i terroristi delle Ypg. Per esempio, si sono dimenticati della roadmap che era stata decisa per la regione di Manbij”, ha ricordato il ministro, facendo riferimento alla mancata applicazione di un accordo del 2018 per l’espulsione delle forze curde da un’area vicino Aleppo.

La costituzione della ‘Safe zone’ è stata indicata con decisione come priorità, anche, dallo stesso Premier turco, Recep Tayyip Erdogan, che l’ha utilizzata come argomento per minacciare l’Europa, che nel 2016 prese un accordo con la Turchia, del costo di sei miliardi di euro, per gestire l’emergenza umanitaria dei profughi siriani, che in fuga dalla guerra si stavano riversando in Europa. “Potremmo essere costretti ad aprire le porte”. ha spiegato Erdogan “Non possiamo essere costretti a gestire questo fardello da soli”, “La Turchia non ha ricevuto dal resto del mondo, e soprattutto dall’Ue, il supporto necessario” per affrontare la crisi dei rifugiati dalla Siria.

La ‘Safe zone’ immaginata dal Presidente turco, dovrebbe avere una profondità di 30 chilometri e una larghezza di 450 chilometri. Una sorta di piccola annessione del nord della Siria in cui collocarvi almeno un milione degli oltre 3,6 milioni di rifugiati siriani attualmente viventi in Turchia.

L’Unione europea

L’Unione europea si è affrettata a dichiarare che a breve saranno assegnati alla Turchia gli ultimi fondi per la gestione dei rifugiati. Maja Kocijancic, la portavoce della Commissione Europea per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza ha detto che ovviamente, stanno seguendo la discussione tra gli Stati Uniti e la Turchia e stanno cercando di capire meglio cosa potrebbe significare e quali implicazioni potrebbe comportare. Ha continuato la Kocijancic che l’obiettivo primario per l’Eu è quello di non permettere che riprendano le ostilità nel Nord-Est della Siria.

L’accordo sottoscritto il 7 agosto tra la Turchia ed i militari degli Stati Uniti si basa sulla creazione della ‘Safe zone’ nel Nord della Siria e lo sviluppo di un corridoio di pace per facilitare il ritorno a casa dei Siriani che lo volessero. Oltre questo, l’accordo prevede anche la predisposizione delle necessarie misure di sicurezza, includendo la “bonifica” della zona dai terroristi dell’Ypg/Pkk.

Il ruolo della Russia

A completare il quadro di questo intenso mese di diplomazia, è arrivata la Russia. Infatti, appena dieci giorni fa sono iniziati nuovi scontri armati e bombardamenti di artiglieria nella regione nord-occidentale siriana di Idlib. L’offensiva delle forze lealiste e quelle russe è condotta contro insorti sostenuti in parte dalla Turchia. Il fatto che non passa certo inosservato, è la coincidenza della ripresa degli attacchi con la notizia data dal Cremlino di un colloquio trilaterale tra i presidenti di Russia, Turchia e Iran, Vladimir Putin, Recep Tayyip Erdogan e Hassan Rouhani, incentrati sulla situazione attuale nella provincia siriana di Idlib. Il summit si terrà oggi ad Ankara. Da questo summit potrebbero entrare in gioco anche la Francia, ma soprattutto la Germania che sta cercando in questi giorni di mediare molte situazioni relative al Medio Oriente.

di Massimiliano Parisi

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