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Marocco, tra “Repubbliche ribelli” ed eresie leggendarie

Marocco – Esplode la voglia di tanti giovani arabi di far conoscere la loro incredibile storia, fatta anche di “Repubbliche ribelli” ed eresie leggendarie. Come quella di Salé e del pirata Lass el-Behar, di cui parla questo breve testo con cui apriamo una finestra sul mondo arabo. Ed è solo amore se amore sai dare.

Salé, la Repubblica dei pirati e il suo capitano ribelle

Ritengo che la bellezza dei luoghi è data dal principio della loro storia, ed è per questo che vi racconto quella di Salé, città del Marocco, nei pressi della capitale Rabat, che s’intreccia con i rinnegati dell’altra sponda del Mediterraneo.

Qui, dalla fine del 1500 circa fino al XVIII secolo, molte migliaia di europei, uomini e donne rinnegati e cacciati dalla Spagna, si convertirono all’Islam attratti dalla mancanza delle gerarchie e del clero, e spinti dall’avversione alla religione cristiana che li aveva espulsi dalla loro terra.

Vite sbocciate in territori geograficamente distanti tra loro, ma che trovarono rifugio e crearono una “utopia pirata” nella Repubblica di Bou Regreg, città-stato fondata proprio a Salé, dove si tracciò una traiettoria di redenzione del rinnegato che prende una forma più evoluta, nel suo stato di sviluppo politico e spirituale più sofisticato.

Ciò che rende interessante Salé è che di tutti gli stati barbareschi è stata l’unica città nella quale i corsari ottennero l’indipendenza; Algeri, Tunisi e Tripoli erano tutti protettorati della Sublime Porta (ossia dell’Impero Ottomano). Invece Salé, anche se solo per qualche decennio, fu governata autonomamente da un Divan o da Consigli di capitani corsari; una vera e propria forma di autogestione territoriale, una “utopia pirata” basata sulla resistenza sociale.

Il mondo marinaro dell’“altro Mediterraneo europeo” nel XVII secolo già rivelava aspetti dell’età industriale. Le navi erano, in qualche modo, delle fabbriche galleggianti e i lavoratori marittimi costituivano una specie di proto proletariato. Le condizioni di lavoro nelle marine mercantili europee presentavano un quadro aberrante del capitalismo emergente. In quelle militari la situazione era ancora più orrenda. Il marinaio aveva quindi tutte le ragioni per considerarsi la figura più bassa e reietta della società europea: senza potere, sottopagato, brutalizzato, torturato, preda dello scorbuto e delle tempeste in mare, schiavo di ricchi mercanti e armatori, di re avari e principi avidi. Questi erano alcuni dei motivi della scelta forzata di cambiare sponda. Il pirata che “guerreggiava contro il mondo intero”, era in primo luogo nemico della propria civiltà.

Nella Salé meticcia si sviluppò così una lingua franca, e difatti venne conosciuta come franco ovvero il linguaggio dei “franchi”, o sabir (dallo spagnolo “conoscere”). Arabo, spagnolo, turco, italiano e provenzale erano mischiati in questo tipico argot portuale. Se un dialetto non ufficiale, di strada, si fosse sviluppato a Salé in quegli anni, avrebbe utilizzato parole dall’arabo, dal berbero, dall’arabo-spagnolo (Morisco) e dallo spagnolo, portoghese, francese e inglese. Infatti, i linguaggi “nuovi “riflettono fenomeni sociali nuovi e singolari, di vasta portata; non sono semplicemente mezzi di comunicazione ma anche modelli di pensiero, veicoli per l’esperienza interiore ed esteriore di chi parla, per le loro nuove comunitas e ideologie. Un linguaggio (per quanto crudo e raffazzonato) è una cultura, o almeno il segnale certo di una cultura emergente. Ed è questa la trama che mi lega a Salé: una storia di multiculturalità, quotidiana resistenza, e soprattutto l’amore per il mare pari a quello che provava Lass el-Behar, un abile navigatore della Repubblica di Bou Regreg che proveniva da Rabat.

Gli spagnoli e gli italiani conoscevano fin troppo bene il nome di questo leggendario pirata. La fregata di el-Behar era agile e leggera come una rondine; un centinaio di rematori schiavi cristiani la facevano volare sopra le onde. Lass el-Behar era giovane, bello e coraggioso. Molte donne si innamoravano di lui, ma lui amava solo la sua nave, la compagnia dei suoi prodi guerrieri e le battaglie gloriose che sarebbero poi state celebrate in canzoni e poemi.
Ma era il mare che amava sopra ogni altra cosa, con una passione così profonda da non potergli vivere lontano, gli parlava come altri parlano alle proprie amanti. I suoi guerrieri narravano che all’ora della preghiera allontanava lo sguardo dalla Mecca per poter guardare il mare. Il giorno dell’Aid el-Kbir (sacrificio delle pecore), Lass el-Behar, che si trovava nel villaggio di El-Minar con i suoi compagni d’armi rifiutò di recarsi a Tangeri per ascoltare il sermone del cadì (amministratore della giustizia secondo il diritto musulmano canonico) e pregare in compagnia dei devoti. “Andate se dovete” disse ai suoi uomini, “quanto a me, rimango a riposare qui”.
Si rinchiuse nella sua torre, da cui poteva contemplare il mare e le navi mentre si muovevano lentamente all’orizzonte. Il Charqui, brezza che soffia dallo stretto di Gibilterra, faceva danzare l’acqua sotto la calda luce estiva. “Il miglior sermone del cadì” pensò el-Behar, “non potrebbe mai eguagliare la bellezza di questa scena. Quale preghiera, per quanto perfetta, potrebbe rivaleggiare con il dolce mormorio delle acque increspate? Che c’è di più potente sulla terra del mare che si estende da una riva all’altra del mondo? Oh, fossero le onde una donna da sposare e l’oceano una moschea nella quale poter pregare”.

di Samah Azmi

Fonte: Trama Mediterranea

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