Medio OrientePrimo Piano

Trump sceglie un petroliere per avvicinarsi a Putin

Trump è un businessman e ragiona come tale; per questo il suo scarno programma di politica estera ruota attorno a due punti fermi: riavvicinarsi a Mosca, perché riconosce che con essa si possono fare ottimi affari, e contrapporsi alla Cina, che individua come il vero pericolo per gli interessi Usa.

Donald TrumpPer favorire questa svolta nei rapporti con la Russia, Trump ha nominato nei posti chiave della sua Amministrazione uomini che vedono Mosca come un’opportunità e non come un nemico: il generale Michael Flynn, Consigliere per la Sicurezza Nazionale, il generale James Mattis a capo del Pentagono e, da ultimo, Rex Tillerson, scelto come Segretario di Stato, la carica più “pesante” ed influente.

Tillerson, dal 2006 Presidente e Ceo del colosso petrolifero Exxon Mobil Corporation, conosce assai bene la Russia con cui ha fatto ottimi affari da sempre, tanto che nel 2013 è stato insignito della massima onorificenza civile, l’Ordine dell’Amicizia, per la cronaca insieme all’Ad dell’Eni Claudio Descalzi.

Tillerson non è solo un profondo conoscitore del Paese, ma ha un solido legame personale con Putin (e con gli uomini del suo entourage) e, da uomo d’affari, è perfettamente consapevole delle enormi opportunità offerte da quella sterminata Nazione. Per questo nel 2014 si è schierato contro le sanzioni ai danni di Mosca, e per questo, da allora, si adopera per tenere aperti canali con il Cremlino.

Il fatto è che le aperture a cui aspira Trump si scontrano con interessi radicati ammantati d’ipocrita ideologia, che continuano a vedere nella Russia un avversario strategico. Le Agenzie federali quali il Pentagono e la Cia, traggono molto del loro potere (e finanziamenti) continuando ad indicare Mosca come un pericolo mortale; lo stesso Congresso, sovvenzionato a piene mani dalla lobby potentissima dell’industria militare che dalla nuova contrapposizione con la Russia trae contratti favolosi, è per la gran parte contrario ad ogni distensione. Insomma, sono in tanti (e potenti) ad avere l’interesse di sabotare le politiche di Trump.

Il livello dello scontro (e degli interessi in ballo) si è appena visto con la pubblicazione di uno pseudo dossier della Cia che indica Mosca come la mandante degli attacchi informatici che, secondo la discutibile interpretazione dell’Intelligence subito fatta propria vedi caso da Obama, avrebbe hackerato le elezioni Usa per favorire Trump. Un gesto senza precedenti da parte di un’Agenzia federale che, nella sostanza, mette in dubbio la regolarità dell’elezione del neopresidente.

In realtà, con la pubblicazione di un documento contestato perfino dall’Ufficio del Direttore dell’Intelligence Nazionale per le sue opinabili conclusioni, la Cia non intendeva appurare se ci fosse stata Mosca dietro i tanti hackeraggi che hanno costellato la lunga campagna elettorale, quanto avvelenare il clima politico rendendo sempre più difficile un riavvicinamento con la Russia. In un clima simile, la stessa nomina di Tillerson, che dovrà essere sottoposta al Comitato Relazioni Estere del Senato, è tutt’atro che scontata.

Sia come sia, e malgrado le fortissime resistenze che le strutture burocratiche delle Agenzie federali opporranno al radicale cambio di rotta auspicato da Trump, e malgrado pure le resistenze del Congresso, la nuova Amministrazione proverà ad invertire la tendenza ad innalzare la tensione con la Russia che ha contraddistinto l’ultima presidenza Obama. Ma sarà una strada assai difficile, come sottolineato dallo stesso Putin nel dare la sua piena disponibilità ad un incontro con il neopresidente; tuttavia è la logica che è cambiata, e gli interessi.

Trump non è legato alla lobby dell’industria militare, e la sua recente dichiarazione sui costi spropositati e fuori controllo del programma Jsf F-35 è stato un avvertimento a non superare i limiti, pena pesantissime ritorsioni (dopo il semplice tweet del neopresidente il titolo della Lockheed Martin è affondato in borsa e quelli degli altri colossi del settore hanno sussultato).

Il fatto è che per l’Europa l’eventuale riavvicinamento fra Usa e Russia non cancellerebbe le attuali difficoltà nei rapporti con Mosca, perché se Trump ha deciso di dialogare con Putin è per farli lui gli affari, non certo per farli fare agli alleati/sudditi europei di cui a lui è arcirisaputo che nulla importa.

Il nocciolo è e rimane sempre lo stesso: la sfacciata sudditanza verso il Grande Fratello d’oltre Atlantico. Fino a quando i Popoli europei non avranno la consapevolezza che in quell’asservimento vecchio di oltre settant’anni ci sono le radici dei propri peggiori mali, sarà tutto inutile. Sterili chiacchiere che nulla cambiano.

di Salvo Ardizzone

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