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Tragedia di Dacca: oggi in Bangladesh, domani in Europa

di Mauro Indelicato

Come si è avuto modo di sentire nelle scorse ore, si aggrava sempre di più il bilancio del tragico crollo di Dacca, la capitale del Bangladesh, nel quale al momento sono morte circa 400 persone, ma sono ancora almeno 700 i dispersi tra le macerie del palazzo che si è letteralmente sbriciolato su se stesso.

Risalta agli occhi, innanzitutto, il numero elevato di vittime e, conseguentemente, il numero altrettanto importante di gente che nel momento del crollo si trovava all’interno dello stabile.

Quindi, si intuisce come il palazzo, più che per abitazioni private, era adibito come sede di diversi uffici e diverse aziende, una sorta di maxi centro direzionale in cui lavoravano diverse centinaia di operai, i quali avevano segnalato da tempo le vistose crepe che si aprivano sempre di più sulla struttura.

Proprio qui risiede il nodo più triste della tragedia; risulta infatti, che lo stabile era dichiarato inagibile, già nei giorni scorsi le autorità locali avevano evacuato l’intero palazzo ma, sotto minaccia dei propri titolari, gli operai sono dovuti tornare a lavoro, pena il licenziamento. E così, mentre la struttura sprofondava letteralmente da sotto i piedi, molte persone erano state costrette a tornare nel luogo in cui poi, come ampiamente previsto, troveranno la morte.

Una vicenda del genere, deve far riflettere intensamente anche noi cittadini europei; al di là della constatazione che nel 2013 esistono, e non neghiamolo, non solo in Asia ma anche qui da noi pressioni da parte dei titolari che non hanno scrupolo di far correre rischi all’incolumità dei proprio dipendenti, sorge un vero e proprio problema di etica, termine completamente uscito fuori dal vocabolario delle società occidentali.

Riflettiamo infatti, almeno per un momento, su cosa abbiamo addosso anche in questo preciso istante che si sta dedicando alla lettura dell’articolo; probabilmente, i nostri stessi vestiti sono stati fabbricati in zone dell’Asia in cui i lavoratori hanno gli stessi standard di sicurezza di chi è morto sotto le macerie di quel palazzo.

Oppure, nulla di strano che le scarpe o la cintura che abbiamo addosso, siano stati fatti proprio nello stesso palazzo crollato; infatti, pare che nei piani venuti giù, ci fosse la sede di numerose aziende che fabbricano vestiario e quant’altro per note griffe di lusso occidentali. Pensiamo dunque al fatto che la magliettina colorata che vediamo esposta in qualche negozio lussuoso nel centro di una capitale europea, oppure il completo sportivo della squadra del cuore che si ordine via internet, provengano dalle polverose stanze di qualche palazzo degradato di una periferia asiatica e vengano fabbricati con il sudore ed a volte la vita, di inermi cittadini costretti a lavorare sotto minaccia.

Il vortice capitalistico nel quale è sprofondato l’animo del cittadino europeo, ha trasformato un po’ tutti in macchine consumatrici, a cui poco importa se nell’etichetta c’è scritto Made in China o Made in Bangladesh; ormai, quel che conta è che ma maglietta sia abbinata ai pantaloni e che il sabato sera si possa far bella figura mentre si sorseggia qualche drink nelle vie della mondanità, non importa se per soddisfare i nostri vani e temporanei, quanto inutili, desideri materiali, vengano schiavizzate diverse persone dall’altra parte del globo.

Questo non vale solo per la moda ovviamente, vale anche per la tecnologia, così come è stato fatto notare diversi mesi fa con la protesta dei lavoratori di una fabbrica cinese in cui veniva fabbricati gli Ipod, costretti a lavorare anche per 18 ore al giorno in condizioni disumane e terribili.

Eppure, per interrompere questo vortice, basterebbe ogni tanto fermarsi a pensare ed a ragionare su cosa c’è dietro ogni elemento nel quale viviamo; purtroppo, siamo in una società in cui non si riesce più ad esser terzi nemmeno a se stessi, si corre, si fatica, ci si rovina spesso la vita, non si sa bene per quale motivo, spesso per inseguire glorie passeggere od essere semplicemente accettati dal branco e dal resto della società. Dunque, pazienza se nel raggiungere tutto ciò, si sfruttino le fatiche e le vite di milioni di lavoratori sottopagati, trattati come bestie per far arricchire la multinazionale di turno; la “civilissima” Europa non ha il tempo oramai di pensare a tutto questo, l’etica viene sacrificata in nome del consumo più sfrenato anche in tempi di crisi.

Basterebbe, come detto prima, che anche per un minuto, chi è messo in fila ad aspettare di accaparrarsi l’ultimo televisore fabbricato nella tanto odiata e temuta Corea del Nord, per esempio, rifletta e veda davanti a sé l’immagine ed il volto del bambino che ha lavorato per 16 ore consecutive all’assemblaggio di quell’elettrodomestico, per ridare all’uomo occidentale la dignità etica di essere umano e non di macchina divoratrice al servizio indiretto delle multinazionali che sfruttano la vita di tanti lavoratori del terzo mondo.

Ma ben presto tutto questo finirà e non per un ritrovato senso etico del disumano uomo europeo, ma perché lentamente i nostri stessi figli si stanno trasformando in lavoratori asiatici; pensiamo ai tanti centri commerciali o ai tanti fast food, che assumono con contratti a tempo determinato di massimo sei mesi tanti giovani laureati o tanti padri di famiglia, i quali non hanno alcuna garanzia, alcun ammortizzatore sociale, costretti a lavorare nei festivi, con la paura che anche un giorno di assenza per febbre possa costargli il posto di “lavoro.”

Nell’Europa che al rito della messa domenicale ha sostituito quello della passeggiata nei centri commerciali, è oramai normale vedere gente con tanti titoli di studio lavorare per diverse ore al giorno e poi essere sbattuta in mezzo ad una strada nel giro di poche settimane.

Mentre ci si ubriaca e ci si diverte con i sogni materiali costruiti dagli schiavi asiatici, stiamo noi stessi diventando schiavi delle nostre stesse multinazionali ed il guaio è che ancora non ci si rende conto di tutto ciò; del resto, identificare la libertà con il potere di comprare ciò che si vuole, ha fatto in modo che, pur di non rinunciare ai falsi privilegi che offriva l’Europa degli anni ’80 e ’90, si accetti qualsiasi posto di lavoro a qualsiasi condizione e con qualsiasi busta paga, creando quindi campo fertile a chi vuol portare il modus operandi asiatico nel vecchio continente.

Siamo sempre più una società fatta di atomi impazziti, di schegge disperse, senza punti di riferimento, senza etica, senza morale e senza dedicare un minuto della giornata a noi stessi, per renderci conto del disastro a cui silenziosamente ci stanno rendendo complici; è questo il mondo occidentale civile, è questa la “libertà” individuale edonistica tanto elogiata dai nostri padri: ma si è ancora in tempo e per ribaltare la situazione, si dia uno sguardo al palazzo crollato in Bangladesh e ci si renda tutti conto che in futuro, se si continua così, scene del genere potremmo averle nella nostra tanto sfruttata e vituperata Europa.

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