Tra paura e inquietudine ci si prepara alla distruzione dell’arsenale chimico siriano
di Manuela Comito
Secondo quanto riportato dall’Ansa nelle ultime ore, è oramai tutto pronto per dare il via all’operazione di distruzione dell’arsenale chimico siriano. La nave americana Cape Ray è ormeggiata in Spagna, nella base navale di Rota, nel sud ovest del Paese e attende l’ordine di salpare per il porto calabrese di Gioia Tauro, dove imbarcherà il carico proveniente dalla Siria. Sulla Cape Ray sono stati istallati due reattori al titanio, Field Deployable Hydrolysis System, per la neutralizzazione di iprite e precursori di Sarin attraverso idrolisi e per la prima volta verranno usati in mare aperto.
Le parole di Michael Nolan, portavoce dell’Opac (Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche) tendono a essere rassicuranti: “E’ il sistema più innovativo, sicuro e controllato per questo tipo di operazione. Non ci saranno conseguenze per l’ambiente”. Dello stesso tono le affermazioni di Carlo Cesare Bonini, consulente del Ministero Degli Esteri, che esclude la possibilità di incidenti che possano mettere a rischio la salute dei cittadini o l’ambiente. Per quanto concerne i tempi tecnici dell’intera operazione, si parla di circa 60 giorni solo per le operazioni sulla Cape Ray e circa 30 giorni perché abbiano inizio le operazioni di trasbordo.
“Se i siriani completeranno il trasferimento dal porto di Latakia non più tardi del 27 aprile, la Cape Ray potrebbe salpare in 2-3 giorni e cominciare le operazioni di trasbordo nel porto italiano nella prima settimana di maggio”, per poi muoversi verso le acque internazionali del Mediterraneo, ha dichiarato all’Ansa l’ammiraglio Robert P. Burke, direttore delle operazioni delle Forze navali Usa in Europa e Africa. E mentre le “voci ufficiali” tendono a evitare quelli che definiscono inutili allarmismi e parlano di operazioni sicure e innocue, non la pensano così gli scienziati greci dell’Archipelagos Institute, i quali parlano di un serio e reale rischio per il Mediterraneo e per l’incolumità delle popolazioni che si affacciano sul bacino.
L’Archipelagos Institute è in contatto con l’Opac e negli ultimi mesi si è adoperato per mettere in luce la vera entità delle conseguenze che l’intera operazione di smaltimento dei rifiuti comporterà e si è posto come obiettivo quello di far pressione sugli organi competenti, al fine di trovare un metodo alternativo sicuro ed efficace di distruzione, in impianti a terra, così da permettere il controllo dei rischi potenziali e l’inquinamento provocato. L’impegno portato avanti dagli scienziati di Archipelagos si è tradotto concretamente in un appello alla Nazioni Unite, all’Opcw e all’Ue, che è stato sottoscritto da istituzioni ed esperti provenienti da ben 14 Paesi e tradotto in sette lingue, per diffondere il messaggio che mette in evidenza i pericoli e i rischi di questa operazione, che sembra essere stata concordata “a tavolino” tra i vari governi coinvolti, senza che ne abbiano valutato minimamente rischi e conseguenze.
I punti cardine dell’appello degli scienziati si possono brevemente riassumente in quattro quesiti fondamentali, rivolti agli organi istituzionali dei Paesi coinvolti:
1) Si pensa che la scelta del luogo delle operazioni non sia arbitraria. L’area marina denominata “Ionian Abyssal Plain” è di oltre 4 mila metri di profondità e, in passato, è stato un luogo di scarico illegale di rifiuti tossici da parte della mafia italiana, che ha svolto il “lavoro sporco” delle industrie chimiche di tutta Europa, desiderose di disfarsi dei propri scarti tossici senza grosse spese. In tale area già contaminata, qualora dovesse verificarsi un incidente, sarebbe difficile quantificarne l’entità e distinguerlo da eventi precedenti.
2) Si ritiene “sospetto” il fatto che i Paesi del Mediterraneo non partecipino al progetto, pur essendo essi stessi il primo bersaglio di eventuali incidenti e gli unici a dover affrontare enormi conseguenze sia ambientali sia socio-economiche.
3) Si ritiene che sia pericolosa e inadatta all’operazione la nave prescelta. La Cape Ray, infatti, è una nave da carico convenzionale (tipo Popc) , ha 37 anni e la marina militare americana ha dovuto apportare modifiche per adattarla a ricevere le apparecchiature per il processo di idrolisi. Se si tiene conto del fatto che questo tipo di navi vengono ritirate dopo 20 anni perché non ritenute più sicure nel garantire il loro carico, nascono spontanei i quesiti sul perché dell’immensa flotta appartenente alla Us Navy, sia stata scelta proprio questa per un’impresa tanto rischiosa.
4) In ultimo, ci si chiede quale sia il motivo per cui il Opcw non ha richiesto che l’industria chimica soprattutto europea si assuma la responsabilità per la produzione e la commercializzazione di queste armi chimiche pericolose, che violano le leggi internazionali. E’ doveroso ricordare anche i costi che l’operazione di distruzione dell’arsenale chimico siriano prevede. I costi dello smaltimento della parte più pericolosa dell’arsenale siriano a bordo della Cape Ray saranno totalmente a carico degli Stati Uniti. L’Opac ha invece creato un Trust Fund che ha raggiunto quota 47 milioni di euro con le donazioni di diversi Paesi, tra cui l’Italia, per finanziare la distruzione degli impianti di produzione e dei componenti chimici siriani meno pericolosi che saranno trattati in centri specializzati in Francia, Finlandia, Stati Uniti e Germania. Inoltre l’Ue ha fornito altro sostegno tecnico e logistico, ad esempio con la fornitura di veicoli blindati, per un valore totale di altri 4,5 milioni di euro.
Di fronte ai fondati timori, frutto di ricerche e studi, di eminenti personalità del mondo scientifico internazionale, di fronte all’assoluta mancanza di strutture ospedaliere adeguatamente attrezzate ad operare in un contesto di eventuale emergenza, è lecito chiedersi quali siano i dati in possesso dei nostri vertici istituzionali tali da far loro esprimere solo rassicurazioni e dichiarazioni positive. Lasciamo la parola a chi, molto meglio di noi, in poche frasi ha riassunto la situazione drammatica e assurda che stiamo vivendo. Il 18 gennaio 2014, a tal proposito, scriveva Gianni Lannes nel suo blog: “Le armi chimiche siriane saranno trattate con l’idrolisi e poi affondate tra Malta, Grecia e Italia. Prima però saranno stoccate in Calabria, l’area a maggior rischio sismico e idrogeologico d’Italia che trema quotidianamente sotto i colpi del bombardamento chimico (chemtrails) e delle iniezioni ionosferiche di onde Elf nella parte superficiale della crosta terrestre. Tranquilli: l’approdo dell’arsenale bellico sarà a Gioia Tauro, area di pertinenza esclusiva della ‘Ndrangheta, la più pericolosa organizzazione criminale italiana al soldo spesso dello Stato tricolore per il lavoro sporco commissionato dai nostrani servizi segreti […]. Dunque, una miriade di ordigni tossici estremamente pericolosi per l’ambiente, minaccia la salute pubblica e l’economia delle nazioni mediterranee. […] I popoli del Mediterraneo, in primis quello italiano (se ancora si può definire tale) hanno il diritto e il dovere di impedire al governo terroristico degli Stati Uniti d’America di portare a compimento questo crimine contro l’umanità, altrimenti sarà la morte certa per il Mare Nostrum”.